mercoledì 29 novembre 2017

I “DATTERI DI MARE” O “DATTERI VERI”, UN’INCREDIBILE DELIZIA DEL MARE CHE DAL 1998 NON SI PUÒ PIÙ ASSAPORARE.




Il “Dattero di Mare” o “Dattero Vero”, è un Mollusco (dal Latinomollis” = “molle”) Bivalve della Famiglia delle “Mytilidae” (mitili).

I “Bivalvi” sono una Classe di Molluschi che comprende circa 13000 specie in prevalenza marine. 
Si presentano con la parte molle racchiusa da due “conchiglie” (valve), dalle più varie forme e consistenze, generalmente simmetriche. 
Le due parti sono unite da una “cerniera mobile interna” e dai legamenti, la chiusura avviene grazie  a uno o due muscoli adduttori e l’apertura grazie ai legamenti
Sono esseri filtratori (di acqua salata o dolce) con un sistema nervoso molto semplificato.

Il “Dattero di Mare” è stato scientificamente denominato “Lithophaga lithophaga” da Carl Nilsonn Linnaeus (1707-1778), medico, botanico e naturalista Svedese considerato il padre della moderna classificazione scientifica degli organismi viventi.

Esiste anche un altro tipo di dattero meno pregiato denominato “Dattero Bianco” (Pholas Dactylus).

I “Datteri di Mare” hanno una prerogativa a dir poco curiosa, si insediano all’interno di rocce calcaree marine tramite un processo di corrosione delle stesse. 
I datteri secernono, attraverso apposite ghiandole, delle secrezioni acide che, in sinergia con l’attrito meccanico, scavano delle gallerie nelle rocce, permettendo la loro lenta penetrazione. 
Infatti il loro nome scientifico è collegato ai termini Greco antichi “lithos” (pietra) e “phagein” (mangiare).

La penetrazione è collegata alla loro crescita che pertanto è molto rallentata e graduale, circa un millimetro l’anno, pensate che per arrivare alla lunghezza di circa 5/6 cm. possono trascorre anche più di 35/40 anni
Ma c’è la possibilità che superino i 10 cm., nel qual caso i decenni aumentano.  

Il “Dattero Vero” si presenta nella sua forma, allungata, bombata e liscia, in un bellissimo colore marrone chiaro (proprio il colore e la forma ricordano i “datteri delle palme” da cui prende il nome), striato dai segni della crescita, all’esterno, mentre all’interno le valve (che sono identiche tra loro e pertanto denominate “equivalve”), hanno un colore celestino chiaro, madreperlaceo.

Vive, sempre incastonato nelle rocce, a una profondità massima di circa 100 metri, ma è più facile trovarlo a poca profondità, presenta dimorfismo sessuale e si riproduce nei mesi più caldi. 
Le larve vengono trasportate dalle correnti marine e cercano di attaccarsi alle rocce con un ciuffo di fibra denominato “bisso” che successivamente cadrà.

I Mari in cui è più diffuso sono, oltre al Mar Mediterraneo, il Mare Adriatico, il Mar Rosso e l’Oceano Atlantico.

La pesca dei “Datteri di Mare” può avvenire solo attraverso sistemi assolutamente invasivi e distruttivi: si devono rompere le rocce in cui vivono.

Un “datteraio” professionista riesce a raccogliere fino a 25 kg di datteri al giorno, desertificando circa 5 chilometri di costa ogni anno, e se consideriamo che un dattero di mare impiega decine di  anni per raggiungere il suo sviluppo completo, il danno all’ecosistema è enorme.

Anche un solo piatto di pasta condito con “Datteri Veri” desertifica mezzo metro quadro di fondale marino.

Proprio per impedire questa devastazione e lo stravolgimento dell’ecosistema del mare, l’Italia è stato il primo Paese al Mondo a vietarne la pesca, con qualsiasi tipo di attrezzatura, e la commercializzazione, con il Decreto Ministeriale del 16 ottobre 1998, gli altri Paesi Europei si sono allineati solo con il Regolamento “CE 1967” del 2006.

Fin dai tempi più lontani i “Datteri di Mare” sono sempre stati per l’uomo una prelibatezza, un vero e proprio pregio gastronomico, sia crudi che cotti. 
Gli antichi Romani pensavano che avessero un potere afrodisiaco (come in genere tutte le materie prime rare) e li apprezzavano molto. 
Ma non solo, fino al 1998, l’anno del divieto, si degustavano in ogni forma possibile su ogni tavola dei buongustai, compreso il sottoscritto, e nei migliori Ristoranti.

Solo nei Paesi dove non esiste il divieto di pesca dei “Datteri veri” è possibile ancora degustarli.

Nel 2007, in Puglia, nel Golfo di Manfredonia, si è iniziato a sperimentare un progetto (sovvenzionato dalla Regione) di allevamento dei “Datteri di Mare”, seguito, negli anni, da altri progetti in varie zone dei nostri mari, ma, purtroppo, non mi risulta, a oggi, che si sia arrivati a una produzione che non sia solo sperimentale.

Per ora rimane il giusto divieto che, dal 1998, non ci permette più di poter assaporare questa incredibile delizia del mare: i “Datteri Veri”.



Il "Miracolo" dei Datteri di Mare (Foto Biolib.cz)

Sapori di Altri Tempi

mercoledì 22 novembre 2017

“BRAUFACTUM” LE BIRRE ARTIGIANALI TEDESCHE CHE OFFRONO NUOVE E GUSTOSISSIME SENSAZIONI.




Prima di parlare di Birra bisogna conoscere bene l’Orzo.

Il primo cereale coltivato, a uso alimentare, dall’uomo, oltre 10.000 anni a. C., è stato proprio l’orzo.

L’orzo (l’alimento) si ottiene dalle “cariossidi” (frutti secchi “indeiscenti”, cioè frutti che giunti a maturazione non si aprono spontaneamente) di una pianta che si chiama “hordeum vulgare”.
Questa pianta, appartenente alla famiglia delle “poaceae” meglio conosciute come “graminacee”, è stata così denominata dal medico, botanico e naturalista Svedese, Carl Nilsson Linnaeus (1707-1778), considerato l’ideatore della classificazione scientifica moderna di tutti gli organismi viventi.

Antecedentemente all’orzo coltivato, l’uomo aveva avuto i primi contatti “alimentari” con l’orzo selvaticohordeum spontaneum”.  

Grazie al facile metodo di coltivazione, l’orzo, è stato un tipo di coltura che ha modificato  profondamente il modo di vivere dei nostri antenati, trasformandoli da cacciatori nomadi ad agricoltori stanziali, favorendo anche la nascita dei primi villaggi.

L’orzo essendo ricco di fosforo, potassio, magnesio, vitamina PP, vitamina E, ferro e calcio, ha favorito anche lo sviluppo cerebrale dell’uomo.

Grazie all’ingegno l’uomo incominciò a elaborare le prime tecniche agrarie ottenendo un surplus di alimenti che dovevano essere conservati, la conseguenza fu che tutto ciò andava preservato dal deperimento e dall’assalto dei roditori: una delle soluzioni, che dava maggiori garanzie, fu quella di mettere i grani del raccolto in recipienti colmi di acqua.

L’orzo immerso dava inizio al processo della fermentazione, trasformando l’acqua in un qualcosa che oggi possiamo definire una “rudimentale birra”.

La Birra è una delle bevande più antiche dell’Umanità
Le prime tracce ci giungono da scritti di origine Medio Orientale di circa 5000 anni fa, ma, dalle prove chimiche fatte su alcuni resti di antichissime ceramiche, si può azzardare a dargli un luogo e una data di nascita in un Territorio che corrisponde, a grandi linee, all’attuale Stato dell’Iran, più di 7000 anni fa.

Già i Sumeri (prima popolazione sedentaria al mondo), che vissero 4000 anni fa sui monti della Mesopotamia, bevevano birra e la chiamavano “se-bar-bi-sag” (bevanda che fa vedere chiaro).
Questa bevanda dava ai nostri antenati più forza e felicità, rendendoli più pronti ad affrontare la vita terribile di allora; da ciò essi ritennero che in questo ci fosse un qualche intervento divino.

Anche gli Egiziani facevano largo uso di birra ma, nei momenti di carestia, quando tutto l’orzo veniva destinato all’alimentazione, bevevano il “vino di palma” che ricavavano dalla linfa zuccherina della pianta.

La Birra non piaceva molto ai Greci che la dileggiavano definendola “vino d’orzo”, e anche i Romani, pur conoscendola, non né facevano un largo consumo ma la relegavano soprattutto nel campo della cosmesi femminile per la pulizia e il nutrimento della pelle.

La Birra, come bevanda, era largamente diffusa in tutta le Province dell’Impero Romano.
In quei secoli lontani fu chiamata, soprattutto, Birra, Ale e Cervisia
Il primo appellativo, molto probabilmente, deriva dal Latinobibere” (bere), mentre il secondo era usato dai popoli nordici e dagli Inglesi, il terzo deriva dal GallicoCerevisia” ed è all’origine di definizioni moderne di Birra come il termine SpagnoloCerveza”.

Attraverso i millenni la Birra fu perfezionata e, in tutte le epoche, ebbe grande importanza, fino a raggiungere i nostri giorni in cui ha una posizione di grande prestigio tra le bevande alcoliche.

Oggi il mercato mondiale è in mano alle grandi multinazionali e a migliaia di piccoli produttori.  Ultimamente molti degli appassionati “homebrewers” (in Inglese coloro che si dedicano alla “homebrewing”, arte di produrre birra in casa) in Italiano definiti “domozimurghi” (dal latino domo = casa e zimurgo = colui che pratica la zimurgia o scienza della fermentazione) si sono messi in gioco  commercializzando le loro preparazioni artigianali. 

La Birra Artigianale è un prodotto fresco e genuino, totalmente naturale, non pastorizzato, spesso non filtrato, senza conservanti e prodotto usando una materia prima di primissima scelta.

Secondo la definizione più recente dell’Unionbirrai (l’Associazione di categoria dei piccoli Birrifici): “Una Birra Artigianale è cruda, integra e senza aggiunta di conservanti, con un alto contenuto di entusiasmo e creatività
Una Birra prodotta da artigiani in quantità sempre molto limitate”.

Oggi uscendo dai confini della “Patria Italica” parliamo di un Birrificio Artigianale Tedesco: il “Die Internationale Brau - Manufacturen GmbH” o più semplicemente “Braufactum”.

L’Azienda in questione è ubicata nell’antichissima (ha origini antico Romane), bella e grande Città di Francoforte sul Meno (Frankfurt am Main) nella Germania sud-occidentale

La SocietàBraufactum” nasce, nel mese di Maggio del 2010, per volontà dei suoi Amministratori Delegati, Marc Rauschmann e Thorsten Schreiber.

La passione per la birra di Marc è innata, già durante la gioventù, da “homebrewers”, si era dedicato alla produzione di birra, per uso personale, in Casa, aiutato dalla mamma e da amici
Le sue prime birre furono fatte con il pentolone da 20 litri, successivamente passò a contenitori più grandi che riscaldava in giardino.

La passione divenne presto una professione e Rauschmann, dopo aver studiato all’Università di Berlino, dove si è laureato in Ingegneria Industriale, ha approfondito tutte le tecniche di produzione della birra.

Nel 2001 Marc Rauschmann è entrato a far parte del “Redeberger Gruppe” (la Compagnia più importante della Germania che gestisce i marchi delle Birre più famose) come Mastro Birraio
Al “Redeberger Gruppe Marc ha sperimentato nuove possibilità di produzione della birra insieme al collega Thorsten Schreiber
Questa stretta collaborazione ha portato alla fondazione della loro nuova Società la “Braufactum” appunto.

Prima però di mettersi a produrre Birra Artigianale in Germania, fino allora mai prodotta nella forma da loro sperimentata, Marc e Thorsten hanno girato in molti Paesi del Mondo (Gran Bretagna, Belgio, Italia, Stati Uniti) visitando i migliori birrai e apprendendo tutte le idee più originali. 
Alla fine del Viaggio, fatto con spirito da esploratori, hanno deciso di fare delle birre che unissero le più recenti tecniche artigianali, alla tradizione secolare della birra Tedesca.

Già nel 1516, per la precisione il 23 Aprile, in Germania, Guglielmo IV di Wittelsbach (1493-1550), Duca di Baviera dal 1508 al 1550, emanò un “editto di purezza”, il “Reinheitsgebot”, che stabiliva i prezzi della birra e obbligava i Birrai a utilizzare, per la produzione della stessa, esclusivamente acqua, malto d’orzo e luppolo
Il lievito fu aggiunto in anni successivi, nel 1516 non era ancora conosciuto. 
In realtà l’editto doveva essere temporaneo e proibiva l’uso del frumento causa un’annata di produzione molto scarsa, ma così non fu, e rimase legge per 476 anni, fino al 1992 quando nacque l’unificazione economica-commerciale Europea, con il conseguente adeguamento a nuove norme.

Ma seguendo proprio le regole, dell’editto sopra citato, che le birre della “Braufactum” evitano qualsiasi aromatizzazione e uso di ingredienti fantasiosi. 
Sono invece una simbiosi emozionante, tra ingredienti naturali, qualità senza compromessi e amore per i dettagli. 
Tutto ciò unito al totale impegno dedicato alla loro produzione (24 ore al giorno, 7 giorni alla settimana), ha dato da subito i suoi frutti decretando il loro successo.

Ho avuto il piacere di degustare le Birre Artigianali (Das Craft Bier), prodotte dalla “Braufactum” trovandole, ognuna con le sue specifiche prerogative, delle creazioni uniche che offrono piacevoli, nuove e gustosissime sensazioni.

Qualcuno ha scritto: “Non importa quanto piena è la nostra vita: c’è sempre spazio per una birra”. Vorrei aggiungere: “A maggior ragione se la Birra è una buona Birra che nasce dalla passione Artigianale della Braufactum”.



Logo dell'Azienda

Le Birre Degustate

mercoledì 15 novembre 2017

DA 120 ANNI LA FAMIGLIA NONINO SI DEDICA, CON GRANDE PASSIONE E STRAORDINARI RISULTATI, ALLA MAGICA ARTE DELLA DISTILLAZIONE.




Il termine “distillazione” etimologicamente significa “separazione goccia a goccia”.

La “distillazione” è un procedimento antichissimo (si narra fosse già noto addirittura agli Egiziani) che viene utilizzato per separare “sistemi omogenei di composizione” (sostanze pure), da una miscela eterogenea, sfruttando la differenza dei punti di ebollizione specifici delle sostanze stesse.

Anche se esistono tracce più antiche, la “distillazione” (come la conosciamo oggi), per la produzione di bevande alcoliche, è stata introdotta nell’Europa Medievale nel XII Secolo a seguito della traduzione, dall’Arabo, di alcuni trattati chimici. 
Arabi e Persiani usavano già tali tecniche, a partire dal VIII Secolo d.C., per produrre alcool puro.

Un’antichissima ricetta del 1200 così recita: “Mescolando vino fortissimo e puro, con tre parti di sale e riscaldando, in recipienti adatti allo scopo, si ottiene un’acqua infiammabile”.

In Italia il primo testo conosciuto, che ha trattato scientificamente e tecnologicamente la produzione del distillato di vino, è il “De Conficienda Aqua Vitae”, scritto dal medico, umanista, scienziato e scrittore fecondissimo Giovanni Michele Savonarola (Padova, 1385 - Ferrara, 1468). 
Una curiosità: era il prozio del Frate Domenicano Girolamo Savonarola impiccato e bruciato sul rogo, il 23 Maggio 1498, come “eretico scismatico e per aver predicato cose nuove”.

Erano Secoli in cui l’ “acqua vitae” (acqua di vita) era utilizzata principalmente per uso medico. Successivamente, nelle campagne, iniziò a essere usata, dai braccianti, anche per riscaldarsi nella stagione fredda.

Il termine “grappa” deriva dal fatto che, nei territori Lombardi e limitrofi, si chiama “grapa” il raspo dell’uva.

La produzione di “grappa” (acquavite estratta dalla buccia dell’uva comprensiva dei vinaccioli, ovvero i semi, la  “vinaccia”, prodotta e vinificata esclusivamente in Italia) veniva inizialmente effettuata tramite alambicchi a bagnomaria o a fuoco diretto, con un metodo artigianale discontinuo (in batch), che prevede il carico della miscela, da trattare nell’apparecchiatura, prima di iniziare il processo di distillazione.

Ma è alla fine del 1700 che in Italia si sviluppò la “distillazione moderna” con l’introduzione della “distillazione a vapore”.

La classificazione della Grappa avviene anche attraverso il tipo di lavorazione e di affinamento.

Il processo di “distillazione” si attua attraverso un antico apparecchio denominato “alambicco”.
Etimologicamente deriva dall'Araboal-’ambiq” (distillare), e dal Grecoαμβιξ” (ambix, tazza), attraverso il Latino Medievale “alembicus” dal Francese antico “alambic”.  

L’Alambicco è composto da una caldaia collegata, attraverso un tubo, a una serpentina di raffreddamento, alla fine della quale esce il distillato desiderato.

La storia che vi voglio raccontare inizia con Orazio Nonino.

Orazio era un bracciante agricolo Friulano che, come unica ricchezza, possedeva un alambicco montato su ruote
Le vinacce allora erano considerate un prodotto di scarto, senza valore. 
Orazio, finito il lavoro nei campi, si recava, con il suo alambicco, presso le abitazioni dei contadini e si metteva a produrre per loro la grappa.

Nel 1879, Orazio Nonino, visto l’aumento delle richieste della sua grappa, decise di cessare questo suo lavoro itinerante e aprì una piccola sede fissa alla sua attività di produttore artigianale di grappa. La Località scelta fu una Frazione nel Comune di Pavia di Udine: Rochi di Percoto.

Anche i figli di Orazio seguirono le orme del padre nell’attività, e, nel 1928, Antonio Nonino, dopo essersi sposato con Silvia, decise di ampliare l’Azienda, che intanto aveva affiancato alla distillazione una piccola rivendita/osteria.

Nel 1933, tra le molte, nuove e valide regole stabilite, in campo agroalimentare, dal Governo Mussolini (tutt’oggi in vigore) fu istituito d’imbottigliare la grappa con regolare etichetta e sigillo di Stato
Fino a quel momento la grappa veniva venduta sfusa. 

Proprio in questa fase nacque anche la “Prima Etichetta Nonino” raffigurante il “Fogolâr Furlan” (Focolare Friulano). 
L’immagine è ancora in uso sull’Etichetta della “Grappa Tradizione”.

Oggi il Marchio dell’Azienda riporta l’antico simbolo degli alcoli nel Medioevo.

Negli agli Anni Sessanta la Grappa era ancora un prodotto non ancora sbocciato, purtroppo non veniva considerata per il suo grande valore intrinseco.

Ma qualcosa stava per rivoluzionare il mondo della Grappa.

La grande passione e la ferrea volontà di Benito Nonino e di sua moglie Giannola Bulfoni, una bella e intraprendente signora, portarono, alla fine del 1973, i Nonino ha “inventare” e registrare una idea tanto semplice quanto mai venuta in mente a nessuno: 
Distillare la Grappa non da un miscuglio indifferenziato di Vinacce, ma da ogni singolo Vitigno (Monovitigno Nonino).

Nacque così la tecnica e la filosofia che elevò la Grappa a distillato di pregio e che a tutt’oggi fa della “Nonino” un Marchio famoso nel Mondo.

La prima Uva selezionata fu quella proveniente da un Vitigno Autoctono, a bacca bianca, conosciuto in tutto il Mondo per le sue eccezionali prerogative: il Picolit.

Nel 1975, a conferma della passione della volontà di questa Famiglia nella difesa degli immortali e più sinceri valori delle biodiversità del Territorio, venne istituito il “Premio Nonino Risit d’Aur” (barbatella d’oro) con lo scopo di stimolare e diffondere la conoscenza degli antichi vitigni autoctoni Friulani

Nel 1977 questo Premio venne affiancato dal “Premio Nonino di Letteratura” e, nel 1984, infine, si è completato con la Sezione Internazionale.

Nel Novembre del 1984 c’è stato un altro innovativo salto di qualità, la Distilleria Nonino ha creato l’Acquavite d’Uva (ÙE Picolit), distillando l’uva intera.

Nel 1989 la Famiglia Nonino, Benito, la moglie Giannola e le tre splendide figlie  Cristina, Antonella ed Elisabetta, per garantire all’Azienda una produzione di altissima qualità, hanno impiantato, nel non lontano territorio del piccolo Comune di Buttrio, sempre in Provincia di Udine, 40 ettari di vigneti sperimentali, con Vitigni di Picolit, Ribolla Gialla, Fragolino, Schioppettino, Merlot e Moscato.

Il 2 Giugno 1998, l’allora Presidente della Repubblica Italiana, Oscar Luigi Scalfaro, ha concesso a Giannola Bulfoni Nonino la più alta onorificenza nominandola “Cavaliere del Lavoro”. 
Un meritatissimo riconoscimento per il grande impegno che ha trasformato un prodotto come la Grappa di qualità “da Cenerentola a Regina del Mercato”.

Nell’Aprile del 2000 le tre straordinarie sorelle, Cristina, Antonella ed Elisabetta, dopo anni di accurati studi, hanno creato “Gioiello”, l’acquavite ottenuta dalla distillazione del solo miele in tutte le se varietà di gusti. 
Una produzione preziosa e limitata strettamente condizionata dalla qualità del miele che deve assolutamente provenire da ambienti ecologicamente puri.

Negli ultimi decenni sono arrivati alla “Nonino” una mare di super importanti riconoscimenti e premi da tutto il Mondo.

Oggi le “Distillerie Nonino” sono composte da 5 Distillerie Artigianali che convivono sotto lo stesso tetto, con 12 alambicchi ciascuna, in rame (rivestiti di legno), una per ogni membro della Famiglia (babbo, mamma e tre figlie). 
Poi, in segno della continuità Familiare nell’arte artigianale della distillazione, ci sono altri otto alambicchi, uno per ogni nipote (sette femmine e un maschio).

Tutta la lavorazione avviene nel rispetto della Tradizione e dei ritmi dell’Artigianalità. Assolutamente non viene utilizzato nessun tipo di colorante, qualità e genuinità sono la loro priorità.

Le “Grappe Nonino Invecchiate” e le “Riserve” stagionano, naturalmente e per un minimo di 12 mesi, nei 5 fascinosi Magazzini, in 2015 piccole botti e barriques di legni diversi e pregiati, sotto sigillo e sorveglianza permanente dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli

La Famiglia Nonino si occupa in prima persona dell’acquisto di tutte le materie prime, esclusivamente fresche, selezionando solo le migliori.

Ho avuto il grande piacere di passare del tempo ad ascoltare, con grande ammirazione, una fantastica, bellissima e preparatissima Francesca Bardelli Nonino, la Figlia più piccola di Cristina, che mi ha illustrato e fatto assaggiare, per la felicità del mio palato e del mio spirito, alcune delle infinite possibilità di abbinamento dei loro prodotti nel fantasmagorico mondo dei cocktail e degli aperitivi.

Oggi l’AziendaNonino” produce più di 900.000 bottiglie, suddivise nella varie linee: “Grappe”, “ÙE”, “Frut”, “Amaro e Liquori” e la già citata “Gioiello”.

Proprio in questo Anno 2017, i Nonino festeggiano, una tappa estremamente importante, i 120 anni di attività della loro Azienda con tantissime iniziative.

NoninoDistillatori in Friuli, dal 1897 si dedicano, con grande passione e straordinari risultati, alla magica arte della distillazione, dal loro eccezionale lavoro nasce la migliore Grappa del Mondo.

Parafrasando una famosa frase di Napoleone Bonaparte, potrei concludere dicendo: 
Niente rende il futuro così roseo come il contemplarlo attraverso un bicchierino di ottima Grappa”.






Per la Gioia del Palato

Delizie

Riserve

Amaro

Francesca Bardelli Nonino e Giorgio Dracopulos

giovedì 9 novembre 2017

AL RISTORANTE “IL MESTOLO”, DI SIENA, OTTIMA CUCINA DI MARE E UN’ACCOGLIENZA CALOROSA E FAMILIARE.




La “Storia delle Posate” si perde nella notte dei tempi.
Probabilmente il “coltello” nacque per primo, date le necessità per la difesa e la caccia. 
Anche il “cucchiaio” (quello di legno) è antichissimo, è stato il primo vero e proprio strumento per portare sostanze liquide alla bocca. 
In molti periodi della Storia Umana, però, fu considerato come “la posata dei poveri”, infatti proprio le classi meno ambienti erano costrette a cibarsi di minestre e zuppe.

Un discorso più particolare si può accennare per la “forchetta”. 
Benché già gli Etruschi usassero le forchette a “due rebbi” (due punte), sia i Greci che i Romani le disdegnarono e quando, molti secoli dopo, arrivò, intorno all’Anno Mille, in Europa, l’uso della forchetta dalla Cina, ci furono molti e gravi problemi.

La Chiesa Cattolica, infatti, vedeva nella forchetta uno “strumento di mollezza e un simbolo del demonio” bollando il suo uso come peccato grave. 
Le conseguenze furono drammatiche e anche personaggi molto importanti del tempo, che ne facevano uso, furono condannati e persero la vita.
Solo nel XIV Secolo iniziò a diffondersi l’utilizzo della forchetta, completando così la terna delle “posate” più importanti che furono e sono fatte con i materiali più svariati.

Rientrano nel termine “posate” anche parecchi altri strumenti che si usano per servire da mangiare o cucinare.
Tra questi, sia per il servizio al tavolo sia per cucinare, c’è ne è uno fondamentale: il “mestolo”. 

Il “mestolo” assomiglia a un grande cucchiaio ma ha la conca più profonda e rotondeggiante, la stessa, rispetto al manico, è angolata in modo da raccogliere i liquidi anche in posizione verticale. 
Il lungo manico poi ha la funzione di facilitare la presa e proteggere la mano dal calore.

A Siena, magnifica Città d'arte della Toscana, c’è un Ristorante che porta proprio il nome di questo fondamentale attrezzo: Il Mestolo.

Il RistoranteIl Mestolo” è dei coniugi Gaetano De Martino e Nicoletta Marighella.

Gaetano De Martino (classe 1968) è nato e vissuto, nella prima parte della sua giovinezza, nella meravigliosa Città di Napoli
Dopo aver frequentato l’Istituto Alberghiero della sua Città iniziò un percorso che lo ha portato a lavorare e a fare esperienze in diversi Locali, molto importanti, fuori d’Italia
La sua comunicativa e il suo saper fare lo hanno fatto diventare, in breve tempo, un esperto e bravo Maître

Nel 1990, Gaetano, fu mandato a supportare l’apertura del nuovo Albergo/Ristorante nel bellissimo e storico contesto di quello stupendo Relais & Châteaux che è “Borgo San Felice” in Toscana
Doveva rimanere solo per pochi giorni, invece rimase per 7 anni.

La Chef Nicoletta Marighella è nata a Copparo, un Comune in Provincia di Ferrara
Fin da piccola ha quella scintilla, innata, che la porta ad amare la cucina; infatti, non ha preso esempio dalla sua mamma, Giuliana, che non ha mai avuto una grande passione per i fornelli. 
Seguendo questo suo sentimento ha frequentato l’Istituto Alberghiero dove si è diplomata nel 1988.

La Provincia di Ferrara, in Emilia-Romagna, ha un territorio completamente pianeggiante, e, durante i lunghi inverni, la nebbia lo attanaglia, ma Nicoletta, incurante delle difficoltà, spinta da tanta volontà e dedizione, andava a Scuola e al suo primo lavoro, sempre in bicicletta.

Dopo varie esperienze di livello fatte in Trentino Alto Adige e in Sardegna, nel 1990, Nicoletta Marighella, arriva al Relais & ChâteauxBorgo San Felice” dove rimarrà anche Lei per sette anni. Durante quel periodo possiamo dire che “galeotto fu quel Borgo”, visti gli accadimenti: l’amore sbocciato tra Nicoletta e Gaetano e, successivamente, il loro matrimonio.

Dalla loro felice unione, poi, sono nati due bellissimi figli, nel 2000, Gennaro, e, nel 2006, Giulia.

Nel 1997 Gaetano e Nicoletta decidono di entrare in Società in un Ristorante, a Siena, che era stato inaugurato da pochissimi anni, nel 1995, il RistoranteIl Mestolo”. 
Il Locale è ubicato su una strada di grande comunicazione, la Via Fiorentina, al Civico 81, appena si arriva, da Firenze, a Siena.

Gaetano e Nicoletta sono due grandi professionisti, lui in Sala e lei in Cucina, come succede, in quasi tutte le Società, la diversità sul modo di condurre l’attività portò la coppia a rilevare completamente, nel 2001, il Ristorante.

Per il Ristorante Il Mestolo, con la gestione di Nicoletta e Gaetano, è stato da subito un successo.

Dall’ingresso principale, che da sulla Via Fiorentina, si entra al RistoranteIl Mestolo” trovando un  salottino, un separé lo divide dal primo tavolo, in fondo a questo primo spazio c’è l’ingresso posteriore del Locale che da sul parcheggio privato. 
Si prosegue, nell’ambiente, girando a sinistra e, superando il bancone bar, si entra, attraverso un arco, nella Sala principale (su cui si affaccia anche la porta della Cucina); da qui, poi, si accede in un'altra Saletta

L’arredo è curato, la “mise en place” è elegante (tovaglie di lino, posate in argento), i tavoli ben distanziati, le sedute comode.

La Carta dei Vini è molto, molto importante, basta vedere le bottiglie che sono praticamente ovunque nel Locale, sulle pareti, sopra il bancone bar, appoggiate sui mobili. 
Una Carta con più di 700 etichette super selezionate, con grande amore ed esperienza da Gaetano, per soddisfare ogni tipo di richiesta.

Il Menu è di Mare, una scelta, voluta, che ha portato il Ristorante a essere un vero e proprio punto di riferimento per gli amanti del pesce fresco di qualità.

Ma veniamo alla degustazione fatta che è stata accompagnata da un’ottima bollicina Italiana suggerita da Gaetano:

- “Cantina della Volta Rosé 2012”, Vino spumante Brut di qualità, Lambrusco Rosé di Modena Spumante D.O.C. Metodo Classico, 100% Lambrusco di Sorbara, 12% Vol., Dégorgement Novembre 2016, prodotto dall’Azienda “Cantina della Volta”. 

In tavola il fragrante pane, i grissini e i crackers della Casa, semplicemente meraviglioso il panino con la cipolla.

Sono state servite le seguenti portate:

- “Amuse-bouche” - Terrina di molluschi, polpo e verdure con gelatina di pomodoro e pane integrale arricchito;

- Crudo di gamberi rossi, lingue di gatto salate e gocce di riduzione di teste di gamberi, insieme a un sorbetto ai crostacei;

- Capesante, funghi porcini e melograno;

- Ravioli di patate farciti con burrata e gamberi, accompagnati da gamberetti e funghi porcini;

- Fusilli tirati a mano con seppioline e zucca gialla;

- Catalana di mazzancolle con verdurine e maionese della Casa;

- Spiedino di seppioline e pomodorino con patate e funghi porcini;

- Zabaione con frutti di bosco e gelato alla crema.

Tutto molto buono e ben presentato.
La Cucina della brava Chef Nicoletta Marighella è fatta con esperienza, accuratezza, sincera passione e grande qualità di tutte le materie prime. 
Tutto il possibile è fatto in Casa.

Il servizio di Sala è esperto, gentile e solerte, Gaetano De Martino è supportato dal bravo Alessandro Barabaschi che lavora con loro da più di 5 anni.

Al RistoranteIl Mestolo”, di Siena, di Gaetano De Martino e Nicoletta Marighella ho trovato un’ottima Cucina di Mare e un’accoglienza premurosa, calda e familiare.



Il Salottino

Il Primo Tavolo

Il Bancone

La Sala

Una Vista della Saletta

"Amuse-bouche"......

Crudo......

Capesante......

Ravioli......

Fusilli......

Catalana......

Spiedino......

Zabaione......

Nicoletta Marighella, Io, Gaetano De Martino, Giulia