Le Tradizioni di quella magnifica
Nazione che si chiama “Giappone” sono tantissime e tutte straordinariamente
affascinanti e quella della loro Cucina è una tra le più interessanti.
La Storia della Cucina
Giapponese ha inizio nel periodo “Periodo Jōmon” (縄文時代
Jōmon-jidai) che va dal 10.000 a.C. fino al 300 a.C.. Un
periodo temporale molto esteso in cui non sono esistiti un Popolo e una Cultura
definibile in senso stretto “Jōmon”, ma piuttosto più Popoli e Culture
accomunati dall'uso di certe tecniche di produzione come per esempio quella del
vasellame. Dobbiamo arrivare al VII Secolo con l’inizio della Dinastia Yamato
(Dinastia Imperiale Giapponese da cui discende anche l’attuale Imperatore
Naruhito) e con l’affermarsi della Religione Buddhista (iniziata ufficialmente
in Giappone nel 538 d.C.) per arrivare a un’idea ben definita e generalizzata
di “Cucina”.
La “Cucina Tradizionale”
viene chiamata in Lingua Giapponese “Nihon-ryōri” (日本料理)
o “Washoku” (和食). Tali termini servono per identificare
la Cucina precedente al “Periodo Meiji” (23 Ottobre 1868 - 30 Luglio
1912), in contrapposizione alla Cucina “Yōshoku” (洋食 “Cucina
Occidentale Importata”) diffusasi nel Paese Nipponico in seguito
all'abolizione del “Periodo di Sakoku” (“Paese Chiuso”, dal 1641 al
1853).
La Cucina “Washoku”, ovvero “L’Arte
della Cucina Tradizionale Giapponese” nel 2013 è stata insignita del Titolo di
“Patrimonio Culturale Immateriale dell’UNESCO”, in riconoscimento degli
“straordinari costumi socio-culinari” che si tramandano in Giappone da Secoli e
per essere una delle Cucine più bilanciate e salutari del Mondo. La Cucina
“Washoku” ha quattro caratteristiche fondamentali: stagionalità, ingredienti,
equilibrio ed estetica.
Ingrediente principale della Cucina
Giapponese è il “riso”, fondamentale anche l’acqua (di alta qualità) sia
per bollire e sia per fare il brodo, ma sono diffusi
anche pasta, pesce, verdure e legumi, conditi
solitamente con le varie spezie locali. La carne è meno usata ma in molti casi è
ottima. I piatti più comuni sono “Sushi”, “Sashimi”, “Ramen”, “Udon”,
“Soba”, oltre a diverse altre preparazioni a base di “Tofu” (Caglio di
semi di Soia) e “Nattō” (ottenuto dalla fermentazione dei Fagioli di
Soia). Non manca un’importante varietà di Dolci (Wagashi). Tra le bevande sono
molto diffusi il “Sake” e il “Tè Verde”.
Una delle preparazioni più tipiche e
interessanti è sicuramente il “Ramen” la mitica Zuppa in cui si immergono le
omonime Tagliatelle di Tipo Cinese (“ramen” ラーメン) denominate
anche “Chuka Soba” (Soba Cinese), solide e corpose, di colore ancora più giallo
quando, nell’impasto di farina di frumento, sale, acqua e “Kansui” (acqua
minerale alcalina), vengono aggiunte le uova. Queste Tagliatelle possono essere
fresche o secche, lisce o arricciate. La Zuppa è di brodo ristretto di pollo o
maiale con inseriti molti altri ingredienti e ne esistono una miriade di
varianti a seconda delle specifiche Tradizioni Territoriali. La “Zuppa Ramen”,
nelle versioni di più alta qualità, è diventata praticamente “un’opera d’arte”
che viene preparata nei migliori Locali specializzati denominati “Ramen-ya”.
Un’altra particolarità molto comune
della Cucina Giapponese che trovo estremamente coreografica e piacevole è il
“Bentō” (弁当): un vassoio contenitore con o senza
coperchio, di varie forme e materiali, adibito a servire un pasto, in singola
porzione, preparato in casa o all'aperto. La parola “bentō” deriva dal
termine “便當” (biàndāng, conveniente), termine dialettale
della Dinastia Cinese Meridionale Song (960 - 1276), poi arrivato in
Giappone.
Il “bentō” è un pranzo
preconfezionato, viene dato ai bambini per portarlo a scuola e agli adulti per
l’ufficio, ma è anche usato nei picnic e nelle feste, per questo deve essere
comodo e pratico da trasportare e mangiare. La “scatola da bentō” è dotata di
divisori interni atti a separare cibi differenti e per trasportarla viene
avvolta in un pezzo di carta, di tessuto o in borse speciali insieme
alle bacchette (箸 hashi); il risultato è un pacchettino
esteticamente gradevole.
Le “scatole bentō” hanno la
possibilità di essere personalizzate, sono di vari materiali e dimensioni,
alcune hanno uno scompartimento termico che contiene riso caldo
o “miso” (condimento derivato dai semi della soia gialla).
In Giappone non esiste il concetto di
“primo piatto”, “secondo”, “contorno”, “dolce e frutta”; di solito
in tavola vengono portati contemporaneamente tutti i cibi
scelti, che vengono consumati senza un ordine prestabilito.
Molto legata alla Cucina Giapponese è
quella “bevanda alcolica” già citata, che costituisce una categoria a parte non
essendo classificabile né tra i Distillati né tra i Liquori, che prende il nome
di “Sake”.
Il “Sake” (dal Giapponese 酒,
"bevanda alcolica") è una bevanda estremamente tipica del Giappone,
si ottiene attraverso un antichissimo processo di fermentazione che coinvolge
un particolare tipo di riso decorticato, acqua purissima, spore “koji” e
specifici lieviti. “Koji” (in Giapponese: 麹, kōji, o 麹菌, kōji-kin),
nome scientifico “Aspergillus oryzae”, è un
“fungo filamentoso” (una muffa). Viene impiegato da Secoli in
diverse Cucine dell'Asia Orientale come fermentante. Viene usato anche
per saccarificare il riso, altri cereali e
le patate per la produzione di bevande
alcoliche come “Huangjiu”, “Makgeolli”, “Shōchū”, “Sake”,
oltreché per l’Aceto di Riso.
Quello che in Occidente è conosciuto
come “Sake” in realtà per Giapponesi è un particolare “Vino di Riso”
chiamato “Nihonshyu” (日本酒 Alcol Giapponese). In Giappone con la
parola “Sake” si indica semplicemente una bevanda alcolica che a
seconda della Regione di provenienza può assumere vari significati specifici.
Per esempio nel Kyūshū Meridionale (Kyūshū una delle Otto Regioni del
Giappone, situata direttamente a sud-ovest di Honshū l'Isola principale
dell'Arcipelago Nipponico) il termine “Sake” si riferisce di solito
allo “Shochu” di patate (芋焼酎 Imojyouchyou). Lo “Shochu” è
un distillato che si può realizzare con orzo, patate dolci e riso.
“Sake” è anche l'Awamori (泡盛
letteralmente cupola trasparente, o “kusu” vecchia bevanda) un altro
particolarissimo distillato delle Isole Okinawa (沖縄諸島 Okinawa
Shotō), il gruppo principale
dell'Arcipelago Giapponese delle Ryūkyū.
La Storia del “Sake” si perde tra
molte leggende millenarie di origine Cinese e Giapponese. L’unica certezza è
che il “Sake” ha seguito sicuramente lo sviluppo della Coltivazione del Riso
che fu introdotta in Giappone dalla Cina, nel già citato Kyūshū, nel tardo
Periodo “Jōmon-jidai” circa 2600 anni fa. Il Periodo “Jōmon-jidai” (縄文時代), come già detto, classifica la Storia Giapponese nei secoli a.C. che intercorrono da circa
il 10000 fino al 300.
Nell’Era “Yayoi-jidai” (弥生時代), che va dal 300 a.C. al 250 d.C., la “coltivazione del riso” si diffuse in tutto il Giappone. La
Tecnica di Produzione del “Sake” si è gradualmente e notevolmente sviluppata
dal metodo iniziale, il più antico, che vedeva nella masticazione del riso
cotto (per unirlo con gli enzimi contenuti nella saliva) il mezzo per la
saccarificazione, per poi favorirne la fermentazione con il lievito. Si indica
il Periodo “Nara-jidai” (奈良時代), che va dal 710 al 784, come quello in
cui il “Sake” iniziò a essere fatto nella maniera che conosciamo oggi con la
fermentazione che utilizza le spore di “koji”. Allora ci fu una tale diffusione
del “Sake”, per dedicarlo agli Dei e all'Imperatore durante cerimonie ed
eventi, che venne istituito un Ufficio apposito per il controllo della sua
produzione.
Esistono, a grandi linee, due
principali tipi di Sake: il “futsuu-shu” (普通酒) ovvero il
"sake normale" e il “tokutei meishyoshyu” (特定名称酒),
il "sake per occasioni speciali". Ma parlare in dettaglio del “Sake”, della sua
filosofia, delle tecniche di realizzazione, dei vari tipi e classificazioni,
del modo di servirlo e di degustarlo, ci vorrebbero dei Tomi.
Se amate o anche semplicemente vi
piace tutto ciò che fin qui Vi ho raccontato non potete assolutamente perdervi
il Ristorante “Moi” di Prato che è appena stato premiato come “Primo nella
Classifica 50 Top Italy - I Migliori Sushi 2024”.
“50 Top Italy” è la notissima Guida online del meglio del
“Made in Italy”, sia nel nostro Paese sia nel Mondo, curata da Barbara Guerra,
Luciano Pignataro e Albert Sapere.
Il Ristorante “Moi - Omakase” di Prato
è l’unico Locale del genere gestito completamente da un “Itamae” Italiano:
Francesco Preite.
“Itamae” (板前) è lo Chef della
Cucina Giapponese: "Ita" significa in questo caso
"tagliere" e "mae" "davanti" viene indicato colui
che lavora davanti al tagliere. Per diventare “Itamae di Sushi” serve un lunghissimo periodo di
formazione e apprendistato. Dopo alcuni anni di formazione, si comincia dalla
gavetta, un bravo apprendista può diventare "Wakiita", che
significa "vicino al tagliere", con inizialmente
compiti che includono la preparazione quotidiana degli ingredienti
freschi, poi, dopo altro tempo, può iniziare a preparare il sushi per
l’asporto, infine se meritevole diventa “Itamae”.
La frase Giapponese “Omakase” (お任せ),
significa “Lascio a te la scelta”, viene usata quando si ordina cibo nei
Ristoranti lasciando allo Chef “carta bianca” sulla scelta delle pietanze da
servire al cliente.
Francesco Preite (classe 1983) è nato
nella Toscanissima Provincia di Prato, fin da giovanissimo ha subito il fascino
del Giappone, diventava matto per i Samurai e le loro mitiche spade
(Uchigatana e Wakizashi). Appena ha potuto ha fatto il suo primo viaggio
in Giappone scoprendo che la maggioranza delle lame realizzate da grandi
Artigiani si erano adattate, per motivi di mercato, alle esigenze dei “coltelli”
utili in Cucina. Tale fatto lo incuriosì a tal punto che, approfondite le
conoscenze, divenne un innamorato della Cucina Giapponese. In più di 20 anni
oltre settanta viaggi in Giappone per studiare e apprendere l’arte da super
famosi Insegnanti.
Per dare libero estro alla sua
passione nel 2009, in Via Giuseppe Verdi nel Centro di Prato, Francesco Preite
aprì il suo primo piccolo Locale, “Moi”, che offriva alla sua Clientela una
proposta classica di cibo Giapponese di ottima qualità. Dopo otto anni di
appassionato Lavoro che ha portato al “Moi” e a Francesco molte soddisfazioni,
un nuovo balzo in avanti, una vera evoluzione con l’apertura della nuova Sede
in Viale Piave, al Civico 10-12-14, sempre a Prato, proprio di fronte al
fascinoso e maestoso Castello dell’Imperatore edificato per ordine
dell’Imperatore Federico II di Svevia tra il Secolo XI e XVI.
Il Ristorante “Moi - Omakase” di Francesco Preite ha un ambiente
decisamente accogliente e suggestivo di una eleganza essenziale, legno naturale
dai toni neutri, ampie vetrate che proiettano all’interno le Torri del Castello
dell’Imperatore. Il grande bancone è l’assoluto protagonista dello spazio, in
essenza di cipresso riprende la struttura in legno delle poltrone e dei divani
dell’area salotto, in una tavolozza di colori che dal beige sfuma nel grigio in
“stile minimal zen”.
Francesco Preite lavora a vista
davanti ai dieci Clienti seduti al bancone arrivati in un unico turno alle
21:00 e, secondo la formula “Omakase”, realizza, con un’attenzione maniacale e assoluta
qualità degli ingredienti, circa venti assaggi al buio: nigiri, brodo di
vongole, manzo di kobe, ricciole, branzini di Porto Santo Stefano, carbonari
d'Alaska (una dei pesci più preziosi e preservati del pianeta), storioni
bianchi, capesante di Hokkaido. Il tutto abbinato a varie tipologie di salsa di
soia artigianali e non pastorizzate, a preparazioni come il “gari” (lo zenzero
in salamoia) preparato personalmente dallo Chef o il “wasabi” fresco,
grattugiato al momento con l’apposito “oroshigane in pelle di squalo”, ai vini
naturali e al sake.
Il Ristorante “Moi” di Prato per le
sue straordinarie e specifiche peculiarità ha ricevuto, tra gli altri, riconoscimenti
come i “Tre Cappelli” con 17/20 di punteggio da “Le Guide de L'Espresso”, per
il secondo anno consecutivo il “Premio Migliore Carta dei Vini di Ristorante
Etnico in Italia” da “Milano Wine Week” e la conferma dei “Tre Mappamondi”
della Guida del Gambero Rosso.
Al Ristorante “Moi - Omakase” del bravissimo “Itamae Italiano” Francesco Preite a Prato potrete immergervi in un piccolo paradiso di sincera Cucina Giapponese vivendo un’esperienza assolutamente gustosa, piacevole e di grandissimo livello.
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