Iniziare
dalla Storia del “Cibo di Strada” che è andata di pari passo con la nascita
dell’umanità sarebbe troppo lungo e complicato.
Partiamo dal
“pane ripieno” che probabilmente ha origini Ebraiche ma si è fortemente sviluppato,
come quasi tutto, in Epoca Romana.
I Romani,
nel senso del popolo comune (i ricchi avevano altre comodità), usava mangiare
velocemente in piedi per strada in Locali Pubblici che si chiamavano
“Cauponae”, ostelli che ospitavano persone e animali e dove si poteva bere e
mangiare, “Tabernae”, bottiglierie dove si beveva e si mangiavano poche cose in
abbinamento al bere, e “Popinae”, vere e proprie osterie dove venivano serviti,
anche sulla strada, pasti caldi.
A tutto ciò si aggiungevano i venditori
ambulanti che si chiamavano “Lixae”.
Nell’antica
Roma, per strada, c’era veramente un tale caos che l’Imperatore Gaio Aurelio
Valerio Diocleziano (244 - 313) fu costretto a regolamentare anche la vendita
di cibi e bevande.
Il pane
farcito per i Romani assunse una tale importanza che venne esportato, con le
specificità di ogni Territorio, in tutto l’Impero.
A Roma per esempio c’è
tutt’oggi una strada, nel Rione Monti, che si chiama “Panisperna”, il suo nome
deriva, molto probabilmente, dal Latino “panis et perna = pane e prosciutto”.
Su tali basi
storiche, attraverso i secoli, per quanto riguarda l’Italia crebbero
un’infinità di tipologie di “Cibo di Strada”, legate a Tradizioni Locali, con
una base di pane o panino..
Oggi vi
voglio parlare di uno dei cibi più classici della Tradizione Siciliana: “u pani
câ meusa” o “u pani ‘ca meusa” (diverso accento, ma sempre panino con la milza)
Palermitano.
Palermo è il
principale centro urbano di quella bellissima e affascinante Isola denominata
Sicilia.
Palermo
vanta una storia lunghissima che inizia con la sua fondazione, tra il VII e VI
sec. a. C., da parte dei Fenici con il nome di “Zyz” (fiore), e si dipana
attraverso le conquiste da parte dei Greci, dei Cartaginesi, dei Romani, dei
Vandali, degli Ostrogoti, dei Bizantini, dei Saraceni, dei Normanni, degli
Svevi, degli Aragonesi, degli Spagnoli, dei Borboni.
Grazie a
questo sovrapporsi di grandi e diverse civiltà, Palermo, è ricca di uno dei più
straordinari patrimoni artistico/architettonici e storico/culturali del Mondo.
Tutti ciò si
rispecchia anche nelle Tradizioni della Cucina Palermitana, che si fonda su di
un sapiente connubio tra un’infinità di elementi (dolci e salati) provenienti
da terre molto lontane.
Una Cucina
che si differenzia, come sempre, tra povera e ricca, ma che è sempre basata sia
sulla costruttiva intelligenza e fantasia dei Siciliani sia sulla grande
qualità delle risorse locali sia di Mare che di Terra.
Uno dei
“cibi di strada”, più importanti (se non il più importante) specificatamente Palermitano
è proprio “u pani câ meusa”.
Il “panino
con la milza” è una preparazione che si dice nasca nel Medioevo a seguito del
coinvolgimento degli Ebrei che vivevano a Palermo e che si occupavano della
macellazione degli animali.
Non potendo essere retribuiti per tale lavoro, a
seguito di un loro precetto religioso, trattenevano, come ricompensa, le
interiora (escluso il fegato anche allora pregiato) ricavate dalla macellazione
stessa e, per monetizzare, le rivendevano, cotte, come pietanza accompagnata da
pane e formaggio.
Un cibo da mangiare con le mani (secondo l’usanza mussulmana
senza posate) e per strada.
Quando Re
Ferdinando II d’Aragona (1452 - 1516), cacciò gli Ebrei, nel 1492, l’attività
specifica presa in questione fu perpetuata dai “caciottari” Palermitani che
diffusero, attraverso i Secoli, l’uso della cucina delle interiora, fino ai
nostri giorni.
Il “panino
con la milza” si prepara usando un particolare tipo di pane Palermitano, tondo
e gonfio, denominato “vastella” o “vastedda”, di solito con la superficie
spolverata di semi di sesamo, che viene farcito con fettine di milza, polmone e
in alcuni casi anche trachea di manzo, bolliti interi e successivamente
soffritti nella sugna.
“U pani câ
meusa” può essere semplice, senza l’aggiunta di niente altro, in questo caso si
definisce “schettu” o “schietta”, oppure “maritatu” o “maritata”, cioè
arricchito con ricotta o caciocavallo grattugiato.
La
preparazione in se stessa è un’arte, un vero e proprio spettacolo: da un
pentolone di alluminio, adagiato su di un fornello in posizione inclinata, si
estraggono le sottili fette con un lungo forchettone e si depositano sulla
parte inferiore del panino, si aggiungono gli altri ingredienti, secondo il
tipo preparato, si richiude ad arte il panino (caldo) e mentre si consegna il
tutto al consumatore si strizzano sopra al tutto alcune gocce di limone.
La maggior
parte dei “meusari” (coloro che sono specializzati in questa preparazione) sono
ambulanti e gravitano attorno ai mercati storici di Palermo: la Vucciria, il
Capo, il Borgo Vecchio e quello più antico, Ballarò.
Poi ci sono
delle attività storiche che preparano delle vere e proprie eccellenze di “pani
câ meusa” una di queste è l’Antica Focacceria S. Francesco.
Salvatore
dopo aver servito, per ben 25 anni, i Principi di Cattolica, ricevette in dono
la cappella sconsacrata ubicata in un antico Palazzo nel cuore di Palermo.
Il
Maestro Alaimo decise di trasformare il Locale in un ristoro per il popolo e
appese all’ingresso una tavola di legno con incisa la parola “Focacceria”.
La
“Focacceria” ebbe subito successo e non solo tra il popolo, su tale spinta, nel
1851, Salvatore iniziò a preparare “u pani câ meusa maritatu”, aggiungendolo
alla preparazione più semplice, in modo tale che tutti potessero mangiare
carne, cucinata in modo più raffinato, anche se di un taglio più
economico.
Nel 1860,
durante il suo passaggio a Palermo, anche Giuseppe Garibaldi andava a mangiare
alla “Focacceria”.
Ma non solo, negli anni successivi tra i clienti ci sono
stati illustri personaggi come: Pirandello, Sciascia, Gottuso, Basile oltre a
moltissimi altri.
Nel 1902 la
“Focacceria” prese il definitivo nome di “Antica Focacceria S. Francesco”.
Nel 1919 è
morto Salvatore Alaimo e le redini sono passate nelle mani della figlia
Ermelinda che una ventina di anni dopo sarà affiancata nella gestione dai
nipoti Mario e Nunzia D’Accardio.
Quando, nel 1939, Nino Conticello ha ereditato
l’attività questa era già diventata una vera e propria istituzione per Palermo.
Nel 1984 gli
ultimi eredi della Famiglia Alaimo, Vincenzo e Fabio Conticello, iniziarono a
portare fuori della Sicilia la loro attività, aprendo alcune sedi in altre
parti d’Italia e anche all’estero.
Questa attività di promozione ha portato,
nel 2013, a un’alleanza con il Gruppo Feltrinelli, al fine di promuovere e
diffondere la cultura anche attraverso il cibo di qualità.
Ho mangiato
“u pani câ meusa maritatu” (con la ricotta) preparato nella sede storica dell’Antica Focacceria S. Francesco di Palermo, e, accompagnato
dall’indiscutibile fascino del Locale, ho assaporato gli intensi aromi e i buoni,
forti sapori del cibo di strada Palermitano più Tradizionale.
Dal 1834
"U Pani Câ Meusa" (Maritatu - Con Ricotta)
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