Prima di parlare di Birra è sempre meglio approfondire la conoscenza dell’Orzo.
L’Orzo è
stato il primo cereale coltivato dall’uomo a uso alimentare oltre 10.000 anni
a.C. e come alimento si ottiene dalle “cariossidi” (frutti secchi
“indeiscenti”, cioè frutti che giunti a maturazione non si aprono
spontaneamente) di una pianta che si chiama “Hordeum Vulgare”. Questa pianta,
appartenente alla Famiglia delle “Poaceae” meglio conosciute come “Graminacee”,
è stata così denominata dal Medico, Botanico e Naturalista Svedese, Carl
Nilsson Linnaeus (1707-1778), considerato l’ideatore della Classificazione Scientifica
Moderna di tutti gli organismi viventi.
Antecedentemente
all’Orzo coltivato, l’uomo aveva avuto i primi contatti “alimentari” con l’Orzo
Selvatico “Hordeum Spontaneum”. Grazie al facile metodo di coltivazione, l’Orzo,
è stato un tipo di coltura che ha modificato
profondamente il modo di vivere dei nostri antenati, trasformandoli da
cacciatori nomadi ad agricoltori stanziali, favorendo anche la nascita dei
primi nuclei abitativi.
L’Orzo
essendo ricco di fosforo, potassio, magnesio, vitamina PP, vitamina E, ferro e
calcio, ha favorito anche lo sviluppo cerebrale dell’uomo. Grazie all’ingegno
l’uomo incominciò a elaborare le prime tecniche agrarie ottenendo un surplus di
alimenti che dovevano essere conservati, la conseguenza fu che tutto ciò andava
preservato dal deperimento e dall’assalto dei roditori. Una delle soluzioni,
che dava maggiori garanzie, fu quella di mettere i grani del raccolto in
recipienti colmi di acqua, l’Orzo immerso dava inizio al processo della
fermentazione, trasformando l’acqua in un qualcosa che oggi possiamo definire
una “rudimentale Birra”.
La Birra è
una delle bevande più antiche dell’Umanità. Le prime tracce ci giungono da
scritti di origine Medio Orientale di circa 5000 anni fa, ma, dalle prove
chimiche fatte su alcuni resti di antichissime ceramiche, si può azzardare a
dargli un luogo e una data di nascita in un Territorio che corrisponde, a
grandi linee, all’attuale Stato dell’Iran, più di 7000 anni fa. Già i Sumeri
(prima popolazione sedentaria al Mondo), che vissero 4000 anni fa sui monti
della Mesopotamia, bevevano Birra e la chiamavano “Se-bar-bi-sag” (bevanda che
fa vedere chiaro). Questa bevanda dava ai nostri antenati più forza e felicità,
rendendoli più pronti ad affrontare la vita terribile di allora: da ciò essi
ritennero che in questo ci fosse un qualche intervento divino. Anche gli Egiziani
facevano largo uso di Birra ma, nei momenti di carestia, quando tutto l’Orzo
veniva destinato all’alimentazione, bevevano il “Vino di palma” che ricavavano
dalla linfa zuccherina della pianta.
La Birra non
piaceva molto ai Greci che la dileggiavano definendola “Vino d’orzo”, e anche i
Romani, pur conoscendola, non né facevano un largo consumo ma la relegavano
soprattutto nel campo della cosmesi femminile per la pulizia e il nutrimento
della pelle. La Birra, come bevanda, era invece largamente diffusa in tutta le
Province dell’Impero Romano. In quei Secoli lontani fu chiamata, soprattutto,
Birra, Ale e Cervisia. Il primo appellativo, molto probabilmente, deriva dal
Latino “Bibere” (bere), mentre il secondo era usato dai popoli nordici e dagli
Inglesi, il terzo deriva dal Gallico “Cerevisia” ed è all’origine di
definizioni moderne di Birra come il termine Spagnolo “Cerveza”. Attraverso i
millenni la Birra fu perfezionata e, in tutte le epoche, ebbe grande
importanza, fino a raggiungere i nostri giorni in cui ha una posizione di
grande prestigio tra le bevande alcoliche.
Oggi il
mercato mondiale è in mano alle grandi Multinazionali e a migliaia di Piccoli Produttori. In anni più recenti molti degli appassionati “Homebrewers”
(in Inglese coloro che si dedicano alla “Homebrewing”, arte di produrre Birra in
casa) in Italiano definiti “Domozimurghi” (dal Latino Domo = Casa e Zimurgo = Colui
che pratica la zimurgia o scienza della fermentazione) si sono messi in
gioco commercializzando le loro
preparazioni artigianali.
La Birra
Artigianale è un prodotto fresco e genuino, totalmente naturale, non
pastorizzato, spesso non filtrato, senza conservanti e prodotto usando una materia
prima di primissima scelta. Secondo la definizione più recente dell’Unionbirrai (l’Associazione di
categoria dei piccoli Birrifici): “Una Birra Artigianale è cruda, integra e
senza aggiunta di conservanti, con un alto contenuto di entusiasmo e creatività.
Una Birra prodotta da Artigiani in quantità sempre molto limitate”.
Oggi
parliamo di uno specifico Birrificio, inaugurato nel Luglio del 2013, denominato
“J63” che è si “Artigianale” ma anche “Agricolo” e che ha Sede a Cenaia in
Provincia di Pisa.
I “Birrifici
Agricoli” sono si Produttori di Birra ma
anche Agricoltori, con uno strettissimo legame con il proprio Territorio e
rappresentano un importante modello di rivitalizzazione delle piccole Città e
delle Zone di Campagna. I “Birrifici Agricoli” hanno l’obbligo di sottostare ad
alcune regole precise dovendo realizzare Birre con una percentuale, che non può
essere inferiore al 51%, di materie prime prodotte in proprio o all'interno di
un Consorzio. Mentre i semplici Produttori di Birre Artigianali si possono
rifornire ovunque. Ma non è solo una questione di percentuali, infatti un
Birrificio Agricolo se vuole aromatizzare le proprie Birre può farlo
utilizzando solo prodotti legati al proprio Territorio, inoltre non sono
ammessi conservanti di alcun genere e la trasformazione dei cereali può
avvenire soltanto con impianti non industriali.
Per
promuovere e tutelare l'attività dei “Birrifici Agricoli” esiste, dal 2003, il Consorzio Italiano di
Produttori dell’Orzo e della Birra e a garanzia dei Consumatori il Marchio Collettivo di
Garanzia di Origine e Qualità “Birragricola
Italiana”.
Il
Birrificio Agricolo Artigianale “J63” è ubicato all’interno della Tenuta Torre a Cenaia
(Antica Tenuta Pitti) che grazie all’Antico Borgo, ai due Ristoranti (Osteria Agricola Toscana Pitti & Friends e Brew-Pub, Ristorante e Pizzeria
J63), al bellissimo
giardino, ai laghetti, ai boschi, ai 30 Ettari di Vigne e ai suoi 500 Ettari di
Campagna Toscana incontaminata (sono Biologici al 100%) crea una magnifica e
suggestiva oasi di pace e tranquillità, ricca anche di gustosi sapori.
La “Tenuta
Torre a Cenaia” è il cuore originario dell’odierna Cenaia, una popolosa e
dinamica Frazione del Comune di Crespina Lorenzana. L’Antico Borgo della
Tenuta, caratterizzato dalla Casa Turrita un tempo parte del più
vasto “Castello di Cenaja”, è attestato per la prima volta in un documento
del 1068. Il nome Cenaia che sembra derivare dal Latino “Caenum” (Fango/melma)
e Cenaja (o Cenaria) avrebbe indicato proprio le Terre
paludose ai piedi del Castello, costruito sull’unica zona sopraelevata al
riparo dalle acque.
Durante
tutto il XIII Secolo il Borgo subì numerosi attacchi a opera delle Truppe
Fiorentine che proprio qui si scontravano spesso con le Armate Pisane. Per
questo motivo nel 1286 i Pisani scavarono, all’odierno confine
nord-orientale della Tenuta, il Fosso Arnonico o della Guerra, nel
tentativo di tenere a distanza i nemici. A questa fase risale la definitiva
distruzione del Castello di Cenaja. Nell’Alto Medioevo non si hanno
notizie precise su chi abitasse e amministrasse il Borgo e i Terreni
circostanti, più che verosimile pensare che la Tenuta fosse un presidio
strategico Pisano sul “caldo” confine orientale. Allo stesso tempo, era un
importante polo economico che, grazie alle vaste terre controllate dalla
Casa Turrita, garantiva notevoli rendite e prodotti agricoli, in grado di
sostentare gran parte della popolazione locale e cittadina.
La vocazione
Vitivinicola della Tenuta risale alla celebre Famiglia Fiorentina dei Pitti,
proprietaria delle Terre Cenaiesi fino agli inizi del Ventesimo Secolo. In
particolare fu il Conte Robert Pitti (classe 1923) a infondere
all’intero Territorio questo carattere distintivo che tutt’oggi lo rende
celebre, e per sua decisione Torre a Cenaia ereditò la possibilità di
utilizzare sia il nome Pitti che lo Stemma Araldico della Casata, unitamente
alla denominazione “Cenaja Antica Proprietà dei Pitti”.
Altri
importanti Personaggi hanno segnato successivamente la Storia dalla Tenuta,
basti pensare a Otto Ernst-Flick, del quale restano ancora oggi le
iniziali sul cancello d’ingresso. Magnate Tedesco di grande spessore
internazionale, imprenditore e azionista della Daimler, multinazionale
dell’industria automobilistica che annovera tra i propri Marchi anche la
Mercedes Benz, segnò per Torre a Cenaia una vera e propria età dell’oro.
Durante la sua permanenza, tra le stanze di Villa Valery poteva capitare di
imbattersi in figure quali il Cancelliere Tedesco Willy Brandt e Christina
Onassis.
Anche il
Birrificio Agricolo Artigianale “J63” ha nel suo nome una particolare Storia.
La lettera “J” corrisponde a “Julia”, la giovane martire diventata poi
Santa Giulia Patrona di Livorno. Secondo la tradizione, elaborata da una Passio
(Parte dei Vangeli in cui è narrata la Passione di Gesù) risalente al VII
Secolo, Giulia era una fanciulla Cartaginese che, divenuta schiava, fu venduta
a un commerciante di nome Eusebio, il quale ne aveva apprezzato le doti e le
virtù dell’animo. Giulia soleva pertanto accompagnare il padrone negli impegni
di lavoro e proprio durante un viaggio in Corsica, per ragioni di commercio, fu
rapita da un uomo perverso e violento. I seguaci di costui condussero a terra
la fanciulla, cercando di indurla a ripudiare la Fede Cristiana. Dato che i
loro sforzi si dimostrarono vani, dapprima la sottoposero a torture e
flagellazione, quindi la crocifissero. Subito dopo la morte della fanciulla
avvennero vari miracoli e i Monaci della vicina Isola di Gorgona, avvisati in
sogno dagli Angeli di questa straordinaria vicenda, trasportarono il corpo
della martire dalla Corsica alla loro Isola.
Nel racconto
della Passio si trovano mescolati elementi di verità con altri frutto della
fantasia popolare.
Alcuni
documenti più aderenti alla realtà storica ci inducono a pensare che Giulia fu
uccisa a Cartagine, vittima della persecuzione verso i Cristiani a opera
dell’Imperatore Gaio Messio Quinto Traiano Decio (201-251).
Probabilmente, in quanto Civis Romana, Giulia non subì il supplizio della
croce, condanna a quel tempo riservata a chi non possedeva tale status, ma verosimilmente
venne decapitata o uccisa con la spada. Quando i Vandali invasero l’Africa
(439), distrussero Cartagine e provocarono la fuga di molti Cristiani, le
spoglie di Giulia giunsero in Corsica e alcuni secoli dopo, probabilmente nel
763, vennero definitivamente traslate a Brescia per volontà della Moglie e
della Figlia di Desiderio, Re dei Longobardi. Si presume che la nave con le
spoglie sia approdata proprio al Porto Pisano di allora che era Livorno dove
infatti si ha notizia della diffusione fin dal IX Secolo del culto verso la
giovane martire. La Festa di S. Giulia, Patrona di Livorno, si celebra il 22
Maggio, giorno in cui, secondo i martirologi, ne sarebbe avvenuto il martirio. Si
dice che le spoglie della Santa dirette a Brescia siano passate dall’Antico
Borgo di Torre a Cenaia, dove sostarono una notte.
Il “63” è
un numero ricorrente nella Storia di Torre a Cenaia e in particolare del
Birrificio che oggi ha come Numero
Civico, di Via Livornese a Cenaia (PI), proprio il “63” e visto anche che nel
1463 Luca Pitti, antenato dei Conti Pitti di Cenaja, fu nominato Capitano del
Popolo acquisendo nello Stemma di Famiglia la Croce Rossa che oggi
contraddistingue anche i Prodotti a Marchio Torre a Cenaia.
Il
“Birrificio Agricolo Artigianale J63” ha Sede nel grande e accogliente Casolare
di oltre 600 metri quadrati all’interno della Tenuta. Nel Locale oltre alla
zona a vista riservata alla produzione delle Birra si trova anche il
“Brew-Pub, Ristorante e Pizzeria”. La Cucina, dotata anche di un
Forno a Legna di ultima generazione, si serve in grandissima parte di
ingredienti prodotti all’interno della Tenuta o provenienti dal Territorio
circostante. In particolare, l’utilizzo di lievito madre, di farine non
raffinate del Consorzio Pieve Santa Luce (Pisa) e la lievitazione naturale
consentono di ottenere prodotti da forno di altissima qualità, genuini e
perfettamente digeribili. Due ampie Sale riservate alla Ristorazione e il
grande Parco esterno consentono di organizzare eventi di vario tipo durante
tutto l’anno, oltre a concerti di musica live.
Recentemente
ho avuto il piacere di pranzare al
“Brew-Pub, Ristorante e Pizzeria J63” abbinando al loro gustoso
cibo una degustazione delle loro Birre: “JLips” (alta fermentazione, Stile
Italian Grape Ale, con Mosto di Uva Vermentino), “JPils” (bassa
fermentazione, Stile Pilsner), “JBlanche” (alta fermentazione, Stile Blanche),
“JBlonde” (alta fermentazione, Stile Blonde), “JIpa” (alta fermentazione, Stile
India Pale Ale), “JRubra” (Dopplebock a bassa fermentazione) e “JBlack”
(alta fermentazione, Stile Stout).
L’impostazione
di base della Produzione del Birrificio Agricolo Artigianale “J63” si ispira
allo Stile Belga, sul quale si innestano i caratteri specifici che risaltano
grazie all’utilizzo di materie prime straordinarie provenienti dalla Tenuta e
dal Territorio circostante. Ho trovato tutte le Birre da loro prodotte, ognuna
con le sue specifiche prerogative, delle creazioni uniche che esprimono a tutto
tondo piacevoli, nuove e gustosissime sensazioni.
Voglio
ringraziare per la grande disponibilità dimostratami le gentilissime Irene
Scrò, Responsabile dell’Ospitalità della Tenuta, e Valentina Bernini la
Responsabile di Sala del Ristorante.
Qualcuno ha
scritto: “Non importa quanto piena è la nostra vita: c’è sempre spazio per una
Birra”. A maggior ragione se la Birra è buona, di grande qualità e nasce da una
esperta passione come quella del “Birrificio Agricolo Artigianale J63” di
Cenaia (PI).
https://www.youtube.com/watch?v=MdwKm1etySg