mercoledì 25 ottobre 2017

“PISA FOOD & WINE FESTIVAL 2017”: UNA SESTA EDIZIONE ANCORA PIÙ BELLA E RICCA.




Jean Brunhes (1869 - 1930), Professore e Geografo Francese, descriveva con le seguenti parole una sacrosanta verità: “Mangiare è incorporare un Territorio”.
E proprio con questa chiara e illustre “visione filosofica” che a Pisa, già da alcuni anni, si svolge il “Pisa Food & Wine Festival - Terre di Pisa”.

Pisa, antica e bella Città Toscana, è adagiata, in una zona pianeggiante, a una manciata di chilometri dalla Foce del Fiume Arno, mentre a nord si stagliano, romanticamente, i Monti Pisani.
Percy Bysshe Shelley (poeta e filosofo Inglese, 1792 - 1822) e Giacomo Leopardi (poeta, filosofo e scrittore, 1798 - 1837) sostenevano che il più bel Tramonto era quello che si poteva godere stando sul “Ponte di Mezzo” a Pisa.

Pisa è ricchissima di monumenti straordinari che la rendono una delle più belle “Città d’Arte” del Mondo
Basta ricordarne anche uno solo, per accendere la curiosità e la fantasia di ogni persona della Terra: Piazza del Duomo (detta “Piazza dei Miracoli”) che raccoglie, con la sua fantastica unicità, la Torre Pendente, il Duomo, il Battistero e il Camposanto Monumentale.

Pisa è una Città che nel Territorio della sua Provincia produce anche moltissimi prodotti enogastronomici di gran gusto e qualità, molto apprezzati da un pubblico di consumatori attenti e  particolarmente appassionati.

Nei giorni di Venerdì 20, Sabato 21 e Domenica 22 Ottobre 2017 si è svolta, nella bella e storica struttura della “Stazione Leopolda” di Pisa, la Sesta Edizione del “Pisa Food & Wine Festival”.

La “Ferrovia Leopolda” (chiamata così in onore del Granduca Leopoldo II di Toscana che l’aveva approvata) fu progettata in maniera che, con i suoi 101 Km., unisse la Città di Firenze a Livorno, attraverso Empoli, Pontedera e Pisa.
L’opera (la terza su tutto il territorio Italiano dell’epoca) fu realizzata, a tratte, tra il 1841 e il 1848 con il materiale ferroviario proveniente dall’Inghilterra.

Ovviamente i centri principali, lungo la suddetta Ferrovia, necessitavano della Stazione, nacquero cosi quelle strutture specifiche che a tutt’oggi si chiamano “Stazione Leopolda”.

La “Stazione Leopolda” di Pisa, edificata nel 1844, su progetto dell’Architetto e Ingegnere Fiorentino Giuseppe Martelli (1792 -1876), comprende un’area di 6.300 mq. con alcuni edifici di varie dimensioni e una costruzione composta da due lunghe (66 m.) navate accoppiate, separate da un’arcata, per un totale di circa 1400 mq. coperti.

La Stazione Leopolda di Pisa cessò la sua attività per i passeggeri nel 1871 (dopo la costruzione della nuova Stazione Centrale), continuando ad essere uno scalo merci sino al 1929.
Successivamente e fino al 1993 l’area è stata adibita a mercato ortofrutticolo.
Nel 1996 il Comune di Pisa ha avviato le opere di recupero della struttura (di grande pregio storico/architettonico), rendendola agibile a partire dal 2002.

Oggi la “Stazione Leopolda” di Pisa, ubicata in un angolo di Piazza Francesco Domenico Guerrazzi, è un centro culturale poliedrico gestito dall’AssociazioneCasa della Città Leopolda” (a cui aderiscono moltissime Associazioni) che armonizza le diverse esigenze e favorisce il lavoro delle stesse, oltreché delle Istituzioni e dei cittadini. 
Inoltre la Stazione è Sede, durante tutto l’anno, di molti eventi e manifestazioni.

Il “Pisa Food & Wine Festival 2017 - Terre di Pisa” è stato organizzato con il patrocinio della Regione Toscana, del Comune di Pisa, della Camera di Commercio di Pisa e dell’Università di Pisa. Hanno collaborato alla sua realizzazione anche molte Associazioni di Categoria Pisane, l'Istituto Professionale di Stato per i Servizi Alberghieri e della Ristorazione (I.P.S.A.R.) “Giacomo Matteotti” di Pisa e, novità di questa Edizione, la Scuola Tessieri e la Federazione Italiana Barman

La “Scuola Tessieri - Atelier delle Arti Culinarie” è un’agenzia formativa accreditata dalla Regione Toscana che, oltre a plasmare i cuochi di domani, organizza moltissimi e interessanti corsi/laboratori sia professionali che amatoriali e molto altro.

Proprio la Scuola Tessieri, tra le altre cose, ha organizzato e condotto gli spazi “gourmet” di questa Edizione portando anche 5 straordinari ChefStellati” che, con diversi appuntamenti, hanno fatto degustare ai presenti, con grandissimo successo, le loro deliziose preparazioni: Luca Landi, del RistoranteLunasia” di Viareggio (LU), Giuseppe Mancino, del RistorantePiccolo Principe” di Viareggio, Cristoforo Trapani, del RistoranteLa Magnolia” di Forte dei Marmi (LU), Cristiano Tomei, del RistoranteL’Imbuto” di Lucca, Luciano Zazzeri del RistoranteLa Pineta” di Marina di Bibbona (LI). 

La “Federazione Italiana Barman”, presente con una nutrita Delegazione guidata dal Presidente Roberto Giannelli, ha organizzato, tra l’altro, il ContestBevi Sano a Km. 0”, in cui 4 professionisti, della Federazione stessa, hanno preparato degli aperitivi utilizzando i prodotti dei Liquorifici Pisani. Vincitrice è risultata, con il cocktail Apple of Granada”, la brava Serena Mantelassi, barman del Cocktail Bar & RestaurantMani’omio” di Pisa.

Anche quest’anno come Tema principale (filo conduttore) la “Dieta Mediterranea”, declinata sui prodotti Locali e sulle ricette della Cucina Tradizionale Pisana.
La “Dieta Mediterranea”, dal Novembre 2010, è stata dichiarata, dall’U.N.E.S.C.O., “Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità”.

Il Festival è stato, come sempre, un interessantissimo viaggio che ha portato a conoscere, i sapori più sinceri del Territorio, dai Monti Pisani alla Val di Cecina, dalla Valdera al Litorale Pisano, attraverso degustazioni di pasta, salumi, formaggi, tartufi, salse, zafferano, dolci, biscotti, olio, vini, birre, liquori e moltissimo altro ancora.

Molto importante lo spazio dedicato all’Olio di qualità che ha visto “nascere” un particolare e simpatico “Oil Bar” gestito dall’Associazione Assaggiatori e Cultori Olio Extra Vergine d’Oliva (ASCOE).

La “qualità a Km. 0”, è stata ben rappresentata da 63 selezionatissimi Produttori Pisani, alcuni dei quali facenti parte del “Consorzio Toscana Sapori” (aderente alla C.N.A. Pisa, “Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa”), che oltre a valorizzare il Territorio, difende ogni specifica peculiarità delle Aziende iscritte, sottolineandone la loro estrazione Pisana e Toscana.

Pisa Food & Wine Festival 2017 - Terre di Pisa” è stato inaugurato, Venerdì 20 Ottobre alle ore 17:00, con il taglio del nastro da parte del Presidente della Camera di Commercio di Pisa Valter Tamburini attorniato da personalità politiche e rappresentanti degli Enti e delle Associazioni partecipanti.

La Manifestazione comprendeva diverse Aree dove si svolgevano attività specifiche (accoglienza, espositori, esperti, enti e sponsor, ludoteca bambini).

Le Aree erano cosi definite:

- “Area Accoglienza”, dove si svolgeva tutta l’assistenza al pubblico e la distribuzione dei bicchieri personalizzati;

- “Area Espositori”, lungo le due navate, dove ha avuto luogo la mostra mercato permanente con i Produttori del Territorio e dove si svolgevano le degustazioni dei prodotti tipici;

- “Area Dibattiti”, dove gli esperti si confrontavano con il pubblico presente;

- “Area Cooking Show/Laboratori”, dove si degustavano i pranzi e le cene dell’Evento, che avevano sempre un tema specifico diverso, in abbinamento con i Vini Pisani;

- “Area Laboratori di Degustazioni”, al primo piano della Stazione Leopolda, gruppi formati al massimo da 30 persone, hanno svolto varie degustazioni sotto la guida di esperti;

- “Area Esperti”, Università di Pisa;

- “Area Enti e Sponsor”, Istituto Alberghiero, Camera di Commercio e altri;

- “Area Bambini Ludoteca”, per la gioia e il divertimento dei più piccoli e con specifici momenti d’informazione per la sana alimentazione dei bambini.

Per tutta la Manifestazione il servizio Vini è stato puntualmente e professionalmente svolto dai bravi Sommelier della F.I.S.A.R. Delegazione Storica di Pisa e dell’A.I.S. Toscana.

Tutti gli altri servizi, compresa l’accoglienza, sono stati effettuati dai preparati studenti dall’Istituto Professionale di Stato per i Servizi Alberghieri e della RistorazioneGiacomo Matteotti”.

La Sesta Edizione del “Pisa Food & Wine Festival 2017 - Terre di Pisa”, svoltasi nella super accogliente struttura della Stazione Leopolda di Pisa, è stata ancora più bella e ricca di sempre e ha avuto un grandissimo successo, sia per l’alta qualità degli eventi e degli espositori, sia per la grande affluenza di pubblico (alcune migliaia di persone) che hanno potuto degustare, divertendosi, tantissime delizie del Territorio Pisano.



Indicazioni all'Ingresso

Il Taglio del Nastro

Oil Bar

La Delegazione F.I.B.

La Vincitrice Serena Mantelassi Prepara il Cocktail 

Una Vista

Cristoforo Trapani, Dracopulos, Roberto Giannelli

Ci Vediamo l'Anno Prossimo......

sabato 21 ottobre 2017

ALL’ANTICA FOCACCERIA S. FRANCESCO PER DEGUSTARE “U PANI CÂ MEUSA” IL TRADIZIONALE CIBO DI STRADA PALERMITANO.




Iniziare dalla Storia del “Cibo di Strada” che è andata di pari passo con la nascita dell’umanità sarebbe troppo lungo e complicato.
Partiamo dal “pane ripieno” che probabilmente ha origini Ebraiche ma si è fortemente sviluppato, come quasi tutto, in Epoca Romana.

I Romani, nel senso del popolo comune (i ricchi avevano altre comodità), usava mangiare velocemente in piedi per strada in Locali Pubblici che si chiamavano “Cauponae”, ostelli che ospitavano persone e animali e dove si poteva bere e mangiare, “Tabernae”, bottiglierie dove si beveva e si mangiavano poche cose in abbinamento al bere, e “Popinae”, vere e proprie osterie dove venivano serviti, anche sulla strada, pasti caldi. 
A tutto ciò si aggiungevano i venditori ambulanti che si chiamavano “Lixae”.

Nell’antica Roma, per strada, c’era veramente un tale caos che l’Imperatore Gaio Aurelio Valerio Diocleziano (244 - 313) fu costretto a regolamentare anche la vendita di cibi e bevande.

Il pane farcito per i Romani assunse una tale importanza che venne esportato, con le specificità di ogni Territorio, in tutto l’Impero
A Roma per esempio c’è tutt’oggi una strada, nel Rione Monti, che si chiama “Panisperna”, il suo nome deriva, molto probabilmente, dal Latinopanis et perna = pane e prosciutto”.

Su tali basi storiche, attraverso i secoli, per quanto riguarda l’Italia crebbero un’infinità di tipologie di “Cibo di Strada”, legate a Tradizioni Locali, con una base di pane o panino..

Oggi vi voglio parlare di uno dei cibi più classici della Tradizione Siciliana: “u pani câ meusa” o “u pani ‘ca meusa” (diverso accento, ma sempre panino con la milza) Palermitano.

Palermo è il principale centro urbano di quella bellissima e affascinante Isola denominata Sicilia.
Palermo vanta una storia lunghissima che inizia con la sua fondazione, tra il VII e VI sec. a. C., da parte dei Fenici con il nome di “Zyz” (fiore), e si dipana attraverso le conquiste da parte dei Greci, dei Cartaginesi, dei Romani, dei Vandali, degli Ostrogoti, dei Bizantini, dei Saraceni, dei Normanni, degli Svevi, degli Aragonesi, degli Spagnoli, dei Borboni.

Grazie a questo sovrapporsi di grandi e diverse civiltà, Palermo, è ricca di uno dei più straordinari patrimoni artistico/architettonici e storico/culturali del Mondo.

Tutti ciò si rispecchia anche nelle Tradizioni della Cucina Palermitana, che si fonda su di un sapiente connubio tra un’infinità di elementi (dolci e salati) provenienti da terre molto lontane.
Una Cucina che si differenzia, come sempre, tra povera e ricca, ma che è sempre basata sia sulla costruttiva intelligenza e fantasia dei Siciliani sia sulla grande qualità delle risorse locali sia di Mare che di Terra.

Uno dei “cibi di strada”, più importanti (se non il più importante) specificatamente Palermitano è proprio “u pani câ meusa”. 

Il “panino con la milza” è una preparazione che si dice nasca nel Medioevo a seguito del coinvolgimento degli Ebrei che vivevano a Palermo e che si occupavano della macellazione degli animali. 
Non potendo essere retribuiti per tale lavoro, a seguito di un loro precetto religioso, trattenevano, come ricompensa, le interiora (escluso il fegato anche allora pregiato) ricavate dalla macellazione stessa e, per monetizzare, le rivendevano, cotte, come pietanza accompagnata da pane e formaggio. 

Un cibo da mangiare con le mani (secondo l’usanza mussulmana senza posate) e per strada.  
Quando Re Ferdinando II d’Aragona (1452 - 1516), cacciò gli Ebrei, nel 1492, l’attività specifica presa in questione fu perpetuata dai “caciottariPalermitani che diffusero, attraverso i Secoli, l’uso della cucina delle interiora, fino ai nostri giorni.

Il “panino con la milza” si prepara usando un particolare tipo di pane Palermitano, tondo e gonfio, denominato “vastella” o “vastedda”, di solito con la superficie spolverata di semi di sesamo, che viene farcito con fettine di milza, polmone e in alcuni casi anche trachea di manzo, bolliti interi e successivamente soffritti nella sugna.

U pani câ meusa” può essere semplice, senza l’aggiunta di niente altro, in questo caso si definisce “schettu” o “schietta”, oppure “maritatu” o “maritata”, cioè arricchito con ricotta o caciocavallo grattugiato.  

La preparazione in se stessa è un’arte, un vero e proprio spettacolo: da un pentolone di alluminio, adagiato su di un fornello in posizione inclinata, si estraggono le sottili fette con un lungo forchettone e si depositano sulla parte inferiore del panino, si aggiungono gli altri ingredienti, secondo il tipo preparato, si richiude ad arte il panino (caldo) e mentre si consegna il tutto al consumatore si strizzano sopra al tutto alcune gocce di limone.

La maggior parte dei “meusari” (coloro che sono specializzati in questa preparazione) sono ambulanti e gravitano attorno ai mercati storici di Palermo: la Vucciria, il Capo, il Borgo Vecchio e quello più antico, Ballarò.

Poi ci sono delle attività storiche che preparano delle vere e proprie eccellenze di “pani câ meusa” una di queste è l’Antica Focacceria S. Francesco.    

L’Antica Focacceria S. Francesco  nasce nel 1834, grazie al Maestro di Cucina Salvatore Alaimo.
Salvatore dopo aver servito, per ben 25 anni, i Principi di Cattolica, ricevette in dono la cappella sconsacrata ubicata in un antico Palazzo nel cuore di Palermo
Il Maestro Alaimo decise di trasformare il Locale in un ristoro per il popolo e appese all’ingresso una tavola di legno con incisa la parola “Focacceria”. 

La “Focacceria” ebbe subito successo e non solo tra il popolo, su tale spinta, nel 1851, Salvatore iniziò a preparare “u pani câ meusa maritatu”, aggiungendolo alla preparazione più semplice, in modo tale che tutti potessero mangiare carne, cucinata in modo più raffinato, anche se di un taglio più economico.  

Nel 1860, durante il suo passaggio a Palermo, anche Giuseppe Garibaldi andava a mangiare alla “Focacceria”. 
Ma non solo, negli anni successivi tra i clienti ci sono stati illustri personaggi come: Pirandello, Sciascia, Gottuso, Basile oltre a moltissimi altri.

Nel 1902 la “Focacceria” prese il definitivo nome di “Antica Focacceria S. Francesco”.

Nel 1919 è morto Salvatore Alaimo e le redini sono passate nelle mani della figlia Ermelinda che una ventina di anni dopo sarà affiancata nella gestione dai nipoti Mario e Nunzia D’Accardio
Quando, nel 1939, Nino Conticello ha ereditato l’attività questa era già diventata una vera e propria istituzione per Palermo.

Nel 1984 gli ultimi eredi della Famiglia Alaimo, Vincenzo e Fabio Conticello, iniziarono a portare fuori della Sicilia la loro attività, aprendo alcune sedi in altre parti d’Italia e anche all’estero. 
Questa attività di promozione ha portato, nel 2013, a un’alleanza con il Gruppo Feltrinelli, al fine di promuovere e diffondere la cultura anche attraverso il cibo di qualità.

Ho mangiato “u pani câ meusa maritatu” (con la ricotta) preparato nella sede storica dell’Antica Focacceria S. Francesco di Palermo, e, accompagnato dall’indiscutibile fascino del Locale, ho assaporato gli intensi aromi e i buoni, forti sapori del cibo di strada Palermitano più Tradizionale.




Dal 1834

"U Pani Câ Meusa" (Maritatu - Con Ricotta)

domenica 15 ottobre 2017

AL RISTORANTE “SAN MARTINO 26”, A SAN GIMIGNANO, PER DEGUSTARE LE PRELIBATEZZE DI UN BRAVISSIMO GIOVANE CHEF.




Curzio Malaparte (1898 - 1957), famoso giornalista, scrittore e poeta Italiano (nato a Prato) amava dire: “La Toscana è paesaggio magico dove tutto è gentile intorno, tutto è antico e nuovo”.

Che dire di più, dopo queste stupende parole sulla Toscana, sennonché questa Terra, da secoli, seduce, con il suo inconfondibile fascino, abitanti e visitatori.

In Provincia di Siena c’è un'antichissima Città d’Arte, che, essendo il suo Centro Storico perfettamente conservato nel suo aspetto architettonico Basso/Tardo Medievale, è stata dichiarata, dall’UNESCO, “Patrimonio dell’Umanità”: San Gimignano.

San Gimignano detta anche “San Gimignano dalla belle Torri” (oggi le torri gentilizie, simboli di potenza e ricchezza, intatte sono 14, una volta, si pensa, fossero ben 72), è una straordinaria Località, dalle origini che si perdono nel tempo, di un valore culturale del tutto eccezionale.
Anche se ci sono tracce addirittura risalenti alla Preistoria, è dal Periodo Etrusco Arcaico (circa dal 580 al 480 a.C.) che si trovano segni di insediamenti stabili in questa zona. 

Comunque, il primo documento storico in cui troviamo citata San Gimignano, risale al 30 Agosto 929; in esso, Ugo di Provenza, Re d’Italia dal 926 al 947, dona al Vescovo di Volterra un Monte chiamato “Torre” e lo individua con queste parole in Latino: “prope Sancto Geminiano adiacente”. 

Nel 998 San Gimignano era ancora un Villaggio attraversato dalla Via Francigena con un Castello, ubicato sul Poggio della Torre, in cui risiedeva il Feudatario, il Vescovo di Volterra.
Nei trecento anni successivi, per una serie di fattori politico/geografici, economici e strategici, San Gimignano divenne un centro molto importante, con una numerosa popolazione (13.000 abitanti), difeso da alte mura.
Con la peste del 1348, che decimò due terzi dei cittadini, e la dominazione Fiorentina, iniziò un lungo periodo di decadimento durato fino a metà del 1800.

Oggi San Gimignano ha circa 8.000 abitanti ma è una straordinaria meta turistico/culturale che attira ogni anno milioni di visitatori da tutto il Mondo.

Da qualsiasi lato si arrivi a San Gimignano il panorama è mozzafiato. 
Ubicata su una Collina a 334 m. s.l.m., il profilo delle sue antiche costruzioni (mura, case, tetti e torri) si staglia fascinosamente contro l’orizzonte. 

Le prime Mura di San Gimignano risalgono al 998 ed erano lunghe 1.108 metri; il secondo tracciato iniziato nel XII Secolo è arrivato a 2.176 metri di lunghezza, comprendendo anche 5 robusti Bastioni  e 5 Porte Principali: Porta San Giovanni, Porta Quercecchio, Porta San Jacopo, Porta delle Fonti e Porta San Matteo.

Entrando a San Gimignano proprio da Porta San Matteo e percorrendo, per poche decine di metri, la principale Via San Matteo, si trova, a sinistra, una traversa che si chiama Via San Martino.

In Via San Martino, al civico 26, si trova il RistoranteSan Martino 26” (nomen omen) della Famiglia Pernarella, lo Chef è Ardit Curri.

La Famiglia Pernarella, di San Gimignano, è composta dalla Mamma, Lidia Rugi, il Babbo Fabio e le due bellissime Figlie Elisa (classe 1993) e Emma (classe 1996).

I Pernarella, con grande passione, nel 1990 aprirono il loro primo Locale, una Pizzeria a San Gimignano, che denominarono “Perucà”.  
Erano talmente bravi, e la clientela cosi numerosa, che dopo soli 4 anni, nel 1994, si trasferirono, nelle vecchie cantine sapientemente ristrutturate di uno dei Palazzi più antichi, trasformando “Perucà” in un accoglientissimo e raffinato Ristorante di Cucina Tradizionale
Lidia in Cucina e Fabio in Sala

Anche al Ristorante il loro impegno continuò, negli anni, a crescere, facendo diventare il “Perucà” un “porto sicuro” per gli amanti della buona cucina di grande qualità.

Lo Chef Ardit Curri è nato nell’antica Città di Tirana (ha origini Antico Romane), Capitale dell’Albania, il 2 Settembre del 1987
Con i suoi genitori, la Mamma Nexhmije, Farmacista, e il Babbo Halit, Insegnante di Storia e Geografia, durante la grave crisi è il caos che ha attraversato quella Nazione tra il 1996 e il 1999, ha avuto anni molto difficili. 
All’età di 13 anni lavorava come cameriere, ma era già molto interessato e affascinato a ciò che “accadeva” nelle cucine. 

Per tali motivi, dopo essersi diplomato al Liceo Classico, nel 2004, Ardit decise di venire in Italia dove, dal 1997, viveva e lavorava, nei Ristoranti, suo fratello più grande, Albert (classe 1979).

Ardit Curri è un giovane intelligente e molto volenteroso, ha frequentato e si è diplomato, nel 2010, all’Istituto di Istruzione Superiore Statale (Indirizzo Professionale Alberghiero) “Angelo Vegni” di Cortona (AR).  
Durante le vacanze estive Ardit è entrato a lavorare nella Cucina del RistorantePerucà” con la brava Cuoca (preferisce essere chiamata cosi) e Titolare Lidia Rugi.

Dopo il diploma all’Alberghiero, Ardit, per un anno ha lavorato in alcuni Locali per fare esperienze, ma la positivissima collaborazione avuta con Lidia Rugi lo ha portato a rientrare al “Perucà”. 
Grazie all’affiatamento con la Titolare e alla sua innata bravura, da quasi subito, è diventato il Sous-chef.

Nel frattempo nasce anche l’amore, tra Elisa Pernarella e Ardit Curri che si fidanzano.

La Famiglia Pernarella, visto la validità della Cucina di Ardit Curri, decide di aprire un nuovo Locale, sempre a San Gimignano, affidando la Cucina proprio ad Ardit.
Il 14 Luglio 2014, dopo importanti lavori, viene inaugurato il nuovo Ristorante  

Il RistoranteSan Martino 26” è accogliente fin dall’ingresso, già la facciata ispira il fascino della “storia di uno dei più antichi Palazzi”.
Entrati, a sinistra troviamo un piccolo bancone reception/bar, di fronte una scala che scende portando ai servizi, a destra saliti pochi gradini si entra nella Saletta principale divisa da un caratteristico arco a mattoni. 
Nella seconda parte di questa saletta ci sono due scalette che scendono, la prima, molto corta, porta alla Cucina a vista (la porta scorrevole è vetrata) la seconda è lunga ed entra nel cuore del sottosuolo portando ad altre caratteristiche piccole salette e infondo, ma proprio in fondo, alla Cantinetta.

Pareti a pietra e mattoni, soffitti a volte, scale dai corrimano in ferro con i gradini di mattoni, colori pastello, giochi di luci e ombre, il tutto unito a un arredo curato in ogni particolare con gusto, compreso la “mise en place”, crea un’atmosfera veramente deliziosa.

Sulla prima pagina del Menu c’è scritto: “Una Buona Idea resiste nel tempo come la Buona Cucina, entrambe fanno Cultura. Il nostro desiderio è di proporVi i piatti della Cucina Tradizionale Toscana in chiave moderna”. 
Un Menu che inizia con alcuni percorsi consigliati e prosegue con la scelta alla Carta. 
Un Menu ricco, soprattutto di Terra, ma non mancano scelte di Mare, che cambia spesso seguendo l’andamento delle Stagioni, e che offre preparazione estremamente interessanti. 
Particolare attenzione anche per i Clienti Vegetariani e Celiaci.

La Carta di Vini è molto ampia e selezionata, Champagne e Bollicine, la parte più consistente offre Vini del Territorio e da tutta la Toscana, anche con una piccola scelta di mezze bottiglie.

Ma veniamo alla degustazione fatta che è stata accompagnata da un buon Vino fresco e profumato:

- “Gemella 2016”, Bianco Toscana I.G.T., 100% Sauvignon Blanc, 13% Vol., prodotto da Bindella - Tenuta Vallocaia.

In tavola i fragranti panini della Casa: Farina integrale, doppia lievitazione e semi di sesamo.

Sono state servite le seguenti portate:

- Entrée - Fegatini mantecati al Vin Santo di San Gimignano e mela verde, su cono di pasta fillo, nel piatto crema di polline;

- Uovo cotto a bassa temperatura con sopra tartufo fresco di stagione, mousse di pecorino e briciole croccanti di parmigiano;

- Tartare di tonno, finocchio e capperi;

- Chitarrine con crema di aglio, olio e peperoncino, colatura di alici, scampi crudi e tabasco;

- Gnocchi di polenta bianca, ripieni di Cinta Senese in bianco, sopra della verbena e brodo di gallina con pezzettini di castagne dell’Amiata;

- Tortelli ripieni di pappa al pomodoro con crema di lardo di Cinta Senese e gamberi imperiali;

- Petto di piccione marinato, cotto a bassa temperatura poi saltato sulla fiamma, insieme a cosciotto ricostruito con le sue interiora e ricoperto da una panure di pane Toscano e carbone vegetale, cipolloto fresco scottato, fondo di piccione con salsa di foie gras, nocciola e cacao;

- Sorbetto alla mela verde su mousse di cioccolato e cannella, mosto cotto di uva sultanina, pane Toscano sbriciolato e saltato al rosmarino.

Tutto molto buono, fatto con materie prime di eccellenza e con delle belle presentazioni. 
La Cucina di Ardit Curri è fresca, giovane e saporita. 
Ardit, in Cucina e aiutato da suo Fratello Albert

Il servizio in Sala è svolto da una giovane Brigata, molto attenta e premurosa, guidata dalla brava Emma Pernarella
La fidanzata di Ardit, Elisa, lavora in Sala al “Perucà”.

Al RistoranteSan Martino 26”, della Famiglia Pernarella, nella magnifica San Gimignano, ho trovato un’accoglienza fatta di professionalità e passione e ho degustato le prelibatezze di un bravissimo giovane Chef: Ardit Curri.




Una Vista della Saletta Principale

La Cucina a Vista

Si Scende in Cantina

Fegatini Mantecati......

Uovo......

Tartare......

Chitarrine......

Gnocchi......

Tortelli......

Petto di Piccione......

Sorbetto......

Giorgio Dracopulos e lo Chef Ardit Curri

domenica 8 ottobre 2017

“TRABACCOLARA” NON SOLO UNA GUSTOSISSIMA RICETTA MA ANCHE UN LIBRO CHE RACCONTA UN’AFFASCINANTE STORIA DI MARE.




Definire precisamente, con delle parole, la Storia infinita tra l’Uomo e il Mare è cosa praticamente impossibile.

Un grande Scrittore Polacco, poi naturalizzato Britannico, Joseph Conrad (1857 - 1924), che aveva avuto una vita molto avventurosa e viaggiato tantissimo, anche per mare, ha detto: 
Il Mare non è mai stato amico dell’Uomo. Tutt’al più è stato complice della sua irrequietezza”.

L’Uomo ha iniziato ad avvicinarsi al Mare per necessità, dovendo procurarsi il cibo con la pesca, già nel Paleolitico
L’Età della Pietra Antica (“Paleolitico” dal Greco “παλαιός λίθος”) fu il primo periodo della Preistoria in cui si svilupparono le più antiche tecnologie umane per mezzo di strumenti in pietra.

Attraverso i millenni la lotta tra l’Uomo e il Mare ha fatto si che venissero sviluppate scienze e tecnologie per meglio conoscere maree, correnti, venti, profondità, stagioni, abitudini migratorie riproduttive dei pesci, e ancora moltissimo altro. 
Per tutto ciò  era necessario costruire imbarcazioni sempre più sicure e affidabili. 

Anche se Lucio Anneo Seneca, filosofo e politico romano vissuto tra il 4 a.C. e il 65, sosteneva che “Un grande pilota sa navigare anche con la vela rotta”, la necessità per i pescatori di avere una buona imbarcazione è sempre stata fondamentale.

Vi voglio parlare di due tipi di barche che sono al centro della nostra storia.

Il primo è il “Trabaccolo”: un’imbarcazione tipica del Mare Adriatico, nata partire dal 1700 ma che si è perfezionata nel corso del 1800, è stata usata fino ad anni molto vicini a noi. 
Nel 1915 (inizio della Prima Guerra Mondale per l’Italia) furono militarizzate tutte le Navi e le Barche civili, tra queste vennero censiti 168 Trabaccoli tra Venezia e Bari
Una barca robusta con due alti alberi, armati con “vele a terzo”, carena arrotondata, chiglia e paramezzale (struttura interna della chiglia), interamente pontata, con una capace stiva centrale a cui si accedeva da un grande boccaporto a prova di mare. 
Il “Trabaccolo” per le sue specificità era una barca adibita principalmente al trasporto merci

La seconda è la “Paranza”: una “barca da pesca”, nata probabilmente alla fine del 700, molto diffusa in Adriatico fino al 1950
Aveva un lungo pennone su cui si alzava in origine una “vela latina” e in anni più recenti una “vela a terzo”. 
Lo scafo assomigliava al “Trabaccolo” con la prora a petto d’anatra, ma aveva, in proporzione alla lunghezza, una maggiore larghezza. 
La “Paranza” era specifica per la “pesca a strascico”, infatti il suo nome deriva dal fatto che, originariamente, questo tipo di pesca veniva praticato con due barche che procedevano affiancate “in paro” appunto. 
Con l’invenzione dei “divergenti” è stato possibile praticare la “pesca a strascico” anche con una sola imbarcazione.

Descritte le barche passiamo alla storia che desidero raccontarvi.

Agli inizi del 1900 a San Benedetto del Tronto, una bella e accogliente Cittadina, con origini che si perdono in Epoca Romana, adagiata sulla Costa Marchigiana alla foce del Fiume Tronto, era molto sviluppata la pesca. 
Famosi, intraprendenti e ingegnosi i pescatori del luogo, tantoché, nel 1912, furono i primi ad applicare un motore a una barca da pesca, una vera e propria “rivoluzione industriale”, che li portò a navigare anche in acque molto lontane e incrementò vertiginosamente la pesca.

Alla fine della Prima Guerra Mondiale (1914 -1918) il Mare Adriatico, però, era molto pericoloso, a causa delle moltissime mine che vi galleggiavano, e impoverito.
Un consistente gruppo di pescatori decise di trasferirsi, con barche e famiglie, su una nuova Costa, quella Tirrenica

La Località prescelta, per non rubare il lavoro a nessuno, era una Cittadina che in quel tempo era più “terra” di marinai che di pescatori: Viareggio.

Viareggio è in Toscana, nel tratto costiero rientrante nella Provincia di Lucca, è un’accogliente e storica Località turistico/balneare
Le sue lunghe e sabbiose spiagge sono bagnate, per la gioia dei vacanzieri, dalle acque del Mar Ligure

Viareggio, oltre alle innumerevoli attrattive estive, ha un’intensa vita mondana tutto l’anno, per esempio, dal lontano 1873, qui, si svolge anche uno dei Carnevali più belli, coreografici, ricchi, divertenti e famosi del Mondo.

Viareggio davanti ha il mare, alle spalle è incorniciata dal suggestivo panorama delle Alpi Apuane, ai lati è racchiusa dalle grandi, verdeggianti e rilassanti pinete.

La Darsena di Viareggio è una delle zone più antiche della Città, con il suo vecchio porto di pescatori, oggi affiancato da quello turistico e dai famosi cantieri navali di super lussuose imbarcazioni. 
Anticamente quella che oggi è la via principale, Via Coppino, era il regno dei vecchi artigiani dediti alle barche come i calafati e i maestri d’ascia. 
Proprio la Darsena di Viareggio fu la meta definitiva dei pescatori Marchigiani e dello loro barche da pesca con cui erano arrivati: le “Paranze”.

Nacque cosi, con questa forte  spinta, oltre a una nuova comunità di persone che ben s’integrarono tra di loro, quella comunità di pescatori “Viareggini”, che nei momenti migliori ha avuto anche più di 100 barche in mare.

I Marchigiani, grandi lavoratori e profondi conoscitori del mare, oltre alle loro tecniche di pesca portarono anche alcune della loro tradizioni, comprese quelle gastronomiche.
Dall’incontro di due mondi gastronomici, nacque (senza precise certezze di attribuzione) una particolare ricetta che venne chiamata ispirandosi alle barche da trasporto dell’Adriatico i Trabaccoli: “Trabaccolara”.

La “Trabaccolara” non è altro che un piatto di pasta (prevalentemente spaghetti) e pesce, quello di recupero, il meno pregiato, quello che una volta non veniva portato ai mercati o rimaneva invenduto, ma che oggi è stato rivalutato. 
Un sugo insaporito da pomodori tagliati a pezzettini, da aglio, prezzemolo, sale, pepe, olio extravergine di oliva, il tutto sfumato con il vino bianco. 
Una vera e propria delizia per il palato.

La ricetta della “Trabaccolara” è tornata in auge alla fine del 1900 grazie ai grandi Ristoratori Viareggini che l’hanno fatta conoscere in varie parti d’Italia e non solo.

Ecco che, proprio per raccontare dettagliatamente questa affascinante storia, è appena uscito un piacevolissimo Libro Tascabile intitolato: “Trabaccolara - Una storia e una Ricetta dal Mare di Toscana” con il Progetto Grafico di Editografica.

Il Libro edito a cura della Regione Toscana (Assessorato alle Attività Produttive, al Credito, al Turismo, al Commercio) e “Vetrina Toscana”, nasce da un’idea di Vieri Bufalari (caro amico che purtroppo ci ha lasciati), la Dr. Daniela Mugnai e il Giornalista Corrado Benzio.

Vetrina Toscana” è il progetto di Unioncamere Toscana e Regione Toscana nato per promuovere ristoranti, produttori e botteghe che producono o utilizzano i prodotti tipici del Territorio.
Grazie a “Vetrina Toscana” in questi ultimi anni il Turismo Agroalimentare Regionale è diventato un modello da imitare, un viaggio tra filiera corta dell'enogastronomia, qualità delle produzioni artigianali e Territori dal patrimonio storico/culturale unico. 
A oggi le Aziende che aderiscono a “Vetrina Toscana” sono innumerevoli.

Vetrina Toscana” ha scelto di promuoversi con tutti i mezzi possibili: stampa, televisione, web, degustazioni, rassegne, cene a tema, cene nei musei, spettacoli, festival. 
Grande è stata la capacità di fare rete con altre manifestazioni, sia nelle Città capoluogo di Provincia come nei piccoli Borghi.

Il LibroTrabaccolara - Una storia e una Ricetta dal Mare di Toscana”, in formato cm. 15,5 x 15,5, ha la Copertina rigida con bandelle, è stampato su carta lucida ed è arricchito da moltissime e rarissime “foto storiche” oltre ad altre del Fotografo Riccardo Bianchi.

All’inizio due brevi introduzioni di Stefano Ciuoffo, Assessore alle Attività Produttive, al Credito, al Turismo, al Commercio della Regione Toscana, e Oriano Landucci, Presidente della Fondazione Banca del Monte di Lucca, Fondazione che ha contribuito alla pubblicazione.

Seguono quattro avvincenti Capitoli che raccontano nei particolari tutta la Storia della “Trabaccolara”, e moltissimo altro, inquadrando il tutto sotto vari punti di vista. 
Due Capitoli sono di Corrado Benzio, uno di Franco De Felice e il quarto di Adolfo Lippi.

Poi ci sono due ricette, con i rispettivi procedimenti per la realizzazione.
La prima e proprio quella degli Spaghetti allaTrabaccolara” della brava Chef Marzia Lombardi del Ristoranteda Giorgio” di Viareggio (LU).
Le seconda “La Recanati” (omaggio a Porto Recanati, nelle Marche) della brava Amalia Ghilarducci Titolare e Chef del Ristoranteda Miro alla Lanterna” sempre a Viareggio.

Seguono, nel Libro, i nomi e i recapiti dei primi 55 magnifici Ristoranti, non solo di Viareggio, che hanno aderito all’iniziativa per la promozione della “Trabaccolara”.

L’ultima pagina è dedicata ha un commovente ricordo dall’amico Vieri Bufalari da parte di Daniela Mugnai.

Un bel Libro questo “Trabaccolara - Una storia e una Ricetta dal Mare di Toscana”, un Libro dal profumo di mare” che si legge tutto di un fiato da quanto appassiona.

La “Trabaccolara” una "Ricetta Marchigiana", nata a Viareggio che non si cucina nelle Marche
Per tale motivo si può concludere con le belle parole scritte, alla fine del suo Capitolo, da Franco De Felice
Mi piace pensare che la Trabaccolara sia un piatto che i pescatori Sanbenedettesi hanno voluto creare solo a uso e consumo dei Viareggini, come segno di riconoscimento per averli accolti nei lontani anni dei primi del Novecento. E per permettere a un Sanbenedettese, che ha l’occasione di assaggiarla, d’incanto, di sentire il profumo del Mare di San Benedetto del Tronto. Ovunque si trovi”.

PS. Un particolare ringraziamento al bravo Chef Giacomo Pezzini del RistoranteBasilico Fresco” per aver preparato la “Trabaccolara” fotografata in questo Articolo





Trabaccolo. Disegno di Aldo Cherini

Trabaccolo. (Foto Arosio Stefano - Wikipedia)

Paranza. (Foto Arosio Stefano - Wikipedia)

"Trabaccolara" dello Chef Giacomo Pezzini